GRAZIE

DI ORSO GRIGIO

REDAZIONE

 

L’ho già detto: una squadra di calcio non si sceglie, è lei che sceglie te.
Lo fa quando sei piccolo, perché il calcio è nel nostro codice genetico, e quella unione si deve realizzare appena possibile, come un sacramento, una cresima laica.
Può accadere per un gol, visto o sentito alla radio, può dipendere da una congiunzione di lune in un’altra galassia, dal colore di una maglia, da tuo padre che ti parla di un campione e allora quel nome e quello della sua squadra diventeranno un modo dolce di ricordare ogni volta anche il tuo babbo volato via.
In qualsiasi scelta che farai nella tua vita potrai usare intelletto e ragione, forse perfino in amore, ma non per la squadra: quella sarà tua per sempre.
E non importa se vincerà poco o molto, o non vincerà mai, se ti esalterà e ti farà godere come un riccio o piangere di rabbia per una finale persa di merda: è quella e basta, per te sarà comunque la più forte di tutte.
A prescindere.
E alla fine ci si somiglia.
Infatti io e la mia Fiorentina non siamo tanto diversi.
Ci mettiamo la passione, tutto l’impegno possibile, cerchiamo di giocare bene, qualche volta ci riusciamo anche e lo ammettono perfino gli avversari, ma poi quei sogni che sembrava di toccarli si infrangono come bolle di sapone a sfiorarle col dito.
Così capita di dominare una finale e perderla miseramente, come è successo mercoledì sera.
Non entrerò nel dettaglio della partita, i motivi, le cause… non serve: tutti discorsi inutili.
Vince chi segna di più, con o senza merito.
Come nella vita, appunto.
Ora, considerata la frequenza delle finali giocate dalla Viola, alla prossima io sarò pulviscolo volato via chissà dove o disperso in chissà quale Oceano, ma va bene così.
Alla fine vincere è bello, ma averci provato, e creduto fino alla fine, lo è stato anche di più.
Perciò grazie lo stesso, ragazzi.
La storia continua.
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In copertina Miguel Angel Montuori