ISRAELE, “RINVIO A GIUDIZIO”: IL POSSIBILE GENOCIDIO, L’ALIBI E LE CONSEGUENZE

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Dalla redazione di REMOCONTRO –

La sentenza di ieri dichiara plausibile la violazione della Convenzione sul genocidio da parte dello Stato d’Israele, ma non ordina il cessate il fuoco. Ci ragiona il mondo in buona parte stupito, assieme a Tommaso Di Francesco. Mentre sul Manifesto la cronaca di Michele Giorgio ci dice che per Gaza non è ancora cambiato niente. «183 morti e ‘19 massacri’ nella Striscia nel giorno in cui la Corte di Giustizia dell’Aja ha chiesto a Israele di proteggere i civili palestinesi».
E quel centinaio di Israeliani che hanno bloccato per il terzo giorno consecutivo il valico di Kerem Shalom per impedire l’ingresso nella Striscia dei camion con gli aiuti umanitari per la popolazione palestinese in condizioni catastrofiche. Mentre la ventilata tregua con rilascio di ostaggi data come imminente, per ora sfuma.

Dopo l’Aja gli alibi e le conseguenze

Dalle macerie del diritto internazionale, dopo tante guerre che l’hanno devastato, e dell’Onu le cui sedi il governo israeliano ha bombardato, fa capolino la voce di una sentenza insieme storica e sibilante, quasi di svolta, ma che allo stesso tempo, per gli attuali rapporti di forza nel mondo peggiori della Guerra fredda, rischia di apparire come alta posizione di principio ma lontana dalla necessità di fermare subito la mattanza in corso a Gaza. Perché la guerra continuerà.

Ma la guerra continuerà

La Corte internazionale di giustizia dell’Aja, i principale organo giudiziario dell’Onu nelle controversie tra Stati, era chiamato ieri in questa prima sentenza non a decidere se quel che commette Israele è genocidio o meno. Ma «solamente» se aveva giurisdizione sul caso e se era accettabile l’imputazione per genocidio richiesta dal Sudafrica; se insomma in quello che è accaduto in questi tre mesi e mezzo nella Striscia di Gaza, dopo l’attacco criminale di Hamas del 7 ottobre, si può raffigurare una violazione della Convenzione contro il genocidio della quale è firmataria Israele stessa. Bene, la Corte, respingendo la richiesta di Israele di archiviare l’accusa sudafricana, dichiara che atti sull’offensiva militare israeliana «plausibilmente» raffigurano il genocidio, quindi accetta – e ci vorranno anni per sentenziarlo però – che lo Stato d’Israele sia imputato di genocidio all’Aja.

Niente affatto scontato

Del resto era assai difficile nascondere i più di 25mila morti (finora) per gran parte civili, le migliaia di bambini uccisi, le decine di migliaia di feriti e mutilati, il 70% delle abitazioni rase al suolo, il sistema umanitario della Striscia fatto a pezzi, gli aiuti alimentari e sanitari negati per un milione e 700mila persone in fuga sotto le bombe e alla fame, mentre il personale sanitario e i giornalisti finisce nelle fosse comuni.

Il fatto non è da poco

Basta vedere la reazione del premier Netanyahu che accusa la Corte di «oltraggio» e di molti ministri israeliani, quello della sicurezza, il fascista Ben Gvir, che bolla la Corte dell’Aja come «antisemita», e quello della Difesa Yoav Gallant per il quale «la Corte è andata oltre accogliendo la richiesta antisemita del Sudafrica». E sì che a decidere per la risoluzione votata dai 17 giudici – con maggioranze da 15 a 2, o da 16 a 1 – ci sono stati membri ‘indipendenti’ ma di Paesi dichiaratamente filoisraeliani come Usa, Gran Bretagna Germania, Australia.

Reazioni palestinesi ed Europa

E basta ascoltare le reazioni, quelle palestinesi: l’esponente di Hamas Sami Abu Zuhri dichiara che la decisione della Corte «isola Israele»; l’Anp con il ministro degli esteri Riyad al Maliki «plaude alla sentenza a favore dell’umanità e alle misure provvisorie necesse arie, e vincolanti, ordinate dalla Corte contro Israele per evitare il genocidio»; e quelle della Commisione europea, Josep Borrell, Alto rappresentante per gli esteri, insiste quasi sullo stesso tema: «Le ordinanze della Corte di giustizia sono vincolanti per le parti e queste devono rispettarle: l’Ue si aspetta la loro piena, immediata ed effettiva attuazione».

“Prevenire” atti di genocidio

Ecco il punto, la sentenza di ieri che dichiara plausibile la violazione della Convenzione sul genocidio da parte dello Stato d’Israele, non ordina il cessate il fuoco. La giudice americana Joan E. Donoghue, presidente della Cig ha altresì chiesto con chiarezza alle autorità israeliane di adottare «misure per prevenire atti di genocidio nella Striscia di Gaza», di «prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio dei palestinesi», inoltra dà un mese di tempo a Tel Aviv per riferire alla Corte sulle misure prese, senza «alterare prove», e Israele deve consentire subito e in modo efficace l’ingresso degli aiuti umanitari. La Corte, che ha chiesto anche la liberazione degli ostaggi, obbliga dunque Israele ad adottare misure per proteggere i palestinesi. Ma, fatto dirimente, non gli ordina di porre fine alle operazioni militari nella Striscia di Gaza.

“Non stop” alle azioni militari e il ricatto del “Veto”

Chi può farlo allora? Né serve ricordare che la stessa Corte invece nel 2022 impose il cessate il fuoco alla Russia per la guerra all’Ucraina, perché l’imposizione fu tutt’altro che ascoltata. È abbastanza evidente che questa sentenza indirettamente, richiami il ruolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu, già bloccato su questa crisi però dal veto Usa e ostaggio di Usa, Gran Bretagna, Russia e Cina.

L’Onu fermo alla seconda guerra mondiale

Così accade che ieri sera l’Algeria, membro permanente dal 1 gennaio del Consiglio di sicurezza, ringraziando il Sudafrica, abbia chiesto la convocazione del massimo organismo Onu «per dare effetto vincolante alla decisione della Corte internazionale di giustizia sulle misure temporanee imposte all’occupazione israeliana».

La solidarietà post coloniale del sud del mondo

Ecco che torna quel protagonismo e quella solidarietà post-coloniale di una parte del Sud del mondo che non dimentica i massacri coloniali nel nord-Africa, né Mandela che paragonava la liberazione dall’apartheid del Sudafrica a quella della Palestina, né il sostegno dei governi israeliani ai misfatti bianchi del regime razzista di Pretoria, né il genocidio tedesco degli Herero in Namibia; e che sa bene che la litania «due popoli e due stati» è una chiacchiera offensiva se non si riconosce che c’è un solo Stato, quello d’Israele, e che quello palestinese impedito con le guerre in questi decenni dai governi israeliani a cominciare dallo stesso Netanyahu – che ha sempre intrattenuto buoni rapporti con Hamas in chiave anti-Fatah -, ora è letteralmente cancellato dalla miriade di insediamenti coloniali che ne impediscono la continuità territoriale.

Grossi problemi anche americani

“È un protagonismo che sfida sulla tragedia di Gaza apertamente gli Stati uniti – tra l’altro Biden, Blinken e Austin sono accusati da ieri in casa, da un tribunale della California, di concorso in genocidio con Israele . Perché da oggi in poi, se è «plausibile» che atti militari di Israele a Gaza siano genocidio, vuol dire che può altrettanto essere imputato di «plausibile genocidio». ogni nuovo veto, invio di armi e sostegno militare, ogni reticenza politica che riconosce la vita e i diritti dei palestinesi solo a belle parole”.

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Il commento di Avvenire

«Un incrocio di circostanze, un po’ voluto e un po’ fortunato, potrebbe avvicinare un raffreddamento della guerra in Medio Oriente e dare sollievo, almeno provvisorio, alla stremata popolazione di Gaza», la prima valutazione di Andrea Lavazza. Tutto discutibile, ma con alcuni punti fermi. «Israele deve incassare l’ammissibilità della denuncia di genocidio presentata dal Sudafrica, ma si vede riconosciuta la possibilità di proseguire l’azione di difesa, limitata nella sua portata in modo da non creare ulteriori, immotivate sofferenze ai civili». Uno stop a certe istanze belliche estensive nel moribondo governo Natanyahu. «D’altra parte, si chiede al movimento che ha scatenato l’offensiva di liberare subito e senza condizioni gli ostaggi, di fatto spingendo verso l’intesa tra le parti con lo scambio tra lo stop all’azione militare e il rilascio dei circa 130 israeliani ancora prigionieri nei tunnel della Striscia».

Quelle 26mila vittime

«Hamas e Anp trovano parzialmente riconosciute le proprie denunce di crimini (sono 26 mila le vittime finora, soprattutto donne e bambini)…»«La prima urgenza è quella speculare di ripristinare aiuti e rifornimenti ai quasi due milioni di sfollati e agli oltre 60mila feriti palestinesi e di riportare a casa i rapiti nel raid contro i kibbutz e il rave party nel deserto. A seguire, ci sarà l’occasione di avviare un processo che conduca un nuovo equilibrio nella regione».

Nuovo equilibrio necessario

«A breve termine, la fine dell’invasione israeliana toglierebbe motivazioni e alibi alle azioni parallele di Hezbollah dal Libano e degli Houti nel Mar Rosso. Inoltre, abbasserebbe la tensione che circonda lo Stato ebraico e fa sì che Paesi tradizionalmente vicini siano diventati critici delle iniziative dell’attuale premier. Già questi sarebbero risultati da salutare come un deciso passo in avanti».

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Articolo di Tommaso Di Francesco, dalla redazione di 

27 Gennaio 2024