DA REDAZIONE
Andrea Melodia dalla redazione di REMOCONTRO –
Andrea Melodia, giornalista con una gran bella storia personale alle spalle (il soprannome irriverente nel titolo è di Remocontro), parte con umiltà, come da suo carattere più portato a confrontarsi che a litigare (a quello, vedrete tra poco, pensiamo noi). «Molti di voi cercano di resistere, in questi momenti difficili, alla pressione di chi vorrebbe riscrivere la storia con la scusa di proporre una visione del mondo più equilibrata». La voglia di riscrivere la storia e le pressioni sul modo di raccontare le bricciole di storia che ancora resistono nella politica.
Nessuna lezione, ma un bel po’ di esperienza da non buttare
“Non spetta a me dare lezioni. Tuttavia, dopo molti anni di esperienza e di riflessioni sul servizio pubblico, permettetemi qualche considerazione: premetto che ho sempre sostenuto il sindacato unitario, e sono sempre stato disposto ad accettarne le decisioni anche quando non le condividevo”.
“Servizio pubblico” oggi più che mai
Il problema di fondo, ritengo, è chiederci se crediamo nel nostro ruolo di servizio pubblico. È evidente, mi pare, che questo ruolo non può consistere solo nel resistere a opinioni sbagliate, perché così si legittimerebbe soltanto una alternanza di contrasti. Il giornalista di servizio pubblico deve, seguendo il modello ideale anglosassone, cercare disperatamente la verità – senza mai raggiungerla in assoluto – nascondendo le proprie opinioni personali; e così facendo, aiuta la società contemporanea, che vive la crisi delle fake news, delle bolle informative, dell’individualismo e della irrazionalità antiscientifica, a raccogliersi intorno a un mainstream che proponga quel minimo di coesione sociale che la società stessa richiede per prosperare.
Questa è la missione del servizio pubblico, che ieri, in epoca di forti contrasti, ha contribuito a far crescere il Paese dopo la guerra, ma che oggi è almeno altrettanto necessaria a fronte della frantumazione e dell’individualismo che hanno investito il sistema della comunicazione. Dobbiamo chiederci quali siano le condizioni strutturali, nell’azienda di servizio pubblico, per poterla realizzare. Sapendo che la RAI deve riuscire a percorrere questa strada, altrimenti è giusto che rinunci al canone e affronti la privatizzazione.
“European Media Freedom Act”
Ovviamente il tema principale è quello della governance. Il servizio pubblico non è né del Governo, che rappresenta l’opinione maggioritaria del momento, né del Parlamento, che rappresenta tutti ma in una modalità che esalta le contrapposizioni più che la loro sintesi. Potremmo dire, un po’ facilmente, che è dei cittadini, anche se questo concetto è alquanto astratto. In realtà, la cosa che più conta, nelle modalità concrete del meccanismo di nomina degli amministratori, è che chiunque sia chiamato a farlo rispetti le regole che oggi vengono giuridicamente dettate dall’European Media Freedom Act: competenza, autonomia, non ricattabilità, garanzie economiche. È la sola via possibile perché la qualità professionale trovi protezione nel processo gerarchico. A questa possibilità concreta bisogna credere e lavorare perché si realizzi. C’è chi lo fa dall’esterno della RAI, deve essere fatto anche dall’interno.
In che modo? Favorendo le condizioni strutturali perché questo ideale possa rendersi il più possibile concreto. Sapendo che non sarà mai perfetto, ma che tendendo alla perfezione si ottengono risultati.
Servizio pubblico della comunicazione
Quali sono le condizioni di un corretto servizio pubblico della comunicazione? E di una media company di servizio pubblico, come spesso ci si dimentica di aggiungere?
Favorire la transizione al digitale è una condizione indispensabile ma di pura sopravvivenza, non garantisce di per sé che si assolva il compito di servizio pubblico.
Il tema più delicato è quello della struttura organizzativa. Newsroom unitaria, o è meglio difendere il pluralismo salvaguardando le Testate autonome e contrapposte?
Giorni fa, conversando con una collega in servizio, ho raccolto la paura che la newsroom unitaria potesse diventare uno strumento in più, in mano a chi vorrebbe imporre opinioni distorte. Legittima paura. Ma qual è l’alternativa? Continuare in eterno la schermaglia ideologica? Alla fine, a questo tipo di informazione non crederà più nessuno, né i progressisti, né i conservatori.
Pluralismo o rischio confusione?
Che il servizio pubblico sia unitario, lo impone la sua missione, che è quella di creare solidarietà sociale. Non di unificare le opinioni, ma di farle dialogare, di farle riconoscersi e legittimarsi reciprocamente.
C’è il rischio che la newsroom unitaria favorisca usi ulteriormente distorti? Sì, c’è il rischio. Ma farebbe scoppiare una contraddizione macroscopica, difficilmente accettabile anche di fronte alle regole europee. Sarebbe eliminata, comunque, quella foglia di fico che oggi consente di chiamare pluralismo l’esistenza di qualche editor (perché chiamarli direttori?) compiaciuto nella propria apparente diversità.
Non è il “tanto peggio, tanto meglio”. È la lucida consapevolezza che i margini per ottenere in Italia un servizio pubblico di statura europea sono risicati, e che occorre una strategia innovativa per arrivarci.
Servizio pubblico di statura europea
So bene che, anche nel sindacato, questa prospettiva è temuta per l’evidente rischio di consentire all’azienda tagli, ottimizzazioni, riduzioni nelle funzioni dirigenziali e altro. Ma un sindacato unitario dovrebbe, anzitutto, badare alla salvaguardia del futuro e della qualità del lavoro professionale dei suoi associati. E, in questo caso, anche ai diritti dei cittadini.
Se deve essere la RAI a svolgere, in esclusiva, il servizio pubblico della comunicazione finanziato con soldi pubblici, deve farlo in modo sistematico ed esclusivo. Esclusivo non nel senso che non debbano anche altri operare in logica di servizio pubblico, ma perché chi riceve soldi pubblici deve fare solo quello, e non anche il suo contrario, magari nella parte più visibile dell’offerta, come oggi avviene.
Le risorse pubbliche devono essere concentrate su una missione credibile e avere protezione costituzionale; sapendo però che quelle risorse non sono dedicate alla difesa ed esaltazione del proprio ruolo aziendale, a proteggere la propria fascia di mercato, ma al contrario a sostenere e incoraggiare chiunque, con risorse proprie, agisce in una logica di servizio pubblico, come la professione giornalistica nel suo insieme dovrebbe fare.
Serve una riforma radicale
Una riforma radicale serve a tutti, non è prerogativa di sinistra o di destra. Ha impatto sulla politica e la democrazia.
Nella massa degli stimoli informativi che ciascuno di noi riceve, non è solo l’informazione giornalistica in senso stretto il terreno nel quale si chiede servizio pubblico. Lo si richiede in tutte le attività espressive e di comunicazione, che hanno anche ruoli economici importanti, e dove il servizio pubblico deve intervenire senza fare né censure né scelte di parte.
Uno dei meriti dell’European Media Freedom Act, che è già in vigore in Italia ma la cui applicazione diverrà obbligatoria nell’agosto 2025, è quello di riconoscere che tutte le attività comunicative, dalla fiction all’intrattenimento, contengono aspetti informativi. Questo deve indurre i giornalisti a non isolarsi nella propria specificità ma, al contrario, a riconoscere la comunione di interessi con gli altri comunicatori professionali attenti alla missione di servizio pubblico.
L’Italia per non essere inadempiente
Come dicevo, l’European Media Freedom Act prescrive, all’articolo 5, che ai servizi pubblico, come alla RAI, venga garantita concreta autonomia gestionale e finanziaria rispetto al Governo e alla politica contingente. Questo obbiettivo deve essere raggiunto anche in Italia.
“Una neonata associazione, Articolo 5 (www.art5.it), rigorosamente apartitica, intende coinvolgere associazioni e singoli per mettere a fuoco queste tematiche, preparando interventi concreti per favorire la piena applicazione del Regolamento europeo”.
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“Andrea Melodia inizia in Rai quasi 50 anni fa, al Tg1 di Emilio Rossi, ne diventa caporedattore e poi cresce nell’azienda per uscire da vicedirettore vicario di Rai 1. Ha insegnato per 17 anni all’università LUMSA, e dal 2009 al 2016 è stato presidente nazionale dell’UCSI, l’associazione dei giornalisti cattolici. Se avete letto sopra, avrete certo scoperto che è un tipo tosto che propone sfide decisamente alte. Come l’European Media Freedom Act che ci aspetta, senza concedere molto a scorciatoie o furberie”.
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Articolo di Andrea Melodia, dalla redazione di
26 Maggio 2024