RISERVISTI IN PRIMA LINEA, CIVILI ARMATI CON LICENZA D’UCCIDERE O DI MORIRE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO

24 soldati israeliani sono stati uccisi a Gaza in un giorno, il numero più alto dall’inizio dell’invasione. Le perdite militari israeliane dall’inizio della guerra sono di 217 soldati uccisi, mentre il numero dei feriti è sconosciuto. 350mila i riservisti schiarati, tra di loro quasi la totalità delle vittime. Il Dipartimento di Stato americano che poco dice sui 25mila palestinesi uccisi, annuncia che dal 7 ottobre sono stati uccisi 21 cittadini americani in servizio nell’esercito israeliano.
Un altro shock per l’Israele di Netanyahu contro tutti, anche in casa.

La guerra dei 350mila riservisti israeliani

Il ‘lunedì nero’ per Israele nella sua guerra di Gaza contro Hamas. 24 soldati uccisi in due diversi settori operativi. Tre ufficiali paracadutisti sono caduti a Khan Younis, la grande città del sud della Striscia, dove si stanno concentrando i più feroci combattimenti. Gli altri 21 soldati israeliani, quasi tutti riservisti della Scuola Ufficiali, hanno perso la vita vicino al confine, a 600 metri dal kibbutz Kiffukim. In 19 sono rimasti sepolti sotto due edifici, che stavano minando per demolirli. Altri due, invece, erano a bordo di un carro armato colpito da un razzo. Secondo il quotidiano Haaretz e il portavoce dell’esercito, Daniel Hagari, «l’incidente dovrà essere indagato».

Civili armati in prima linea

I particolari dell’accaduto sono tutt’altro che definiti e – come sostiene il Jerusalem Post – si stanno ancora studiando i dettagli del tragico evento. «Non è chiaro -scrive JP – se i soldati abbiano violato le procedure, portando con sé le mine nelle strutture, e non è chiaro nemmeno quanto il crollo dell’edificio sia stato causato dall’esplosione secondaria di un razzo anticarro sulle mine. Le forze dell’IDF che sono state colpite, erano perlopiù composte da riservisti, incaricati di ripulire alcune aree da oggetti pericolosi». Fin qui la versione del Jerusalem Post che, sia pure approssimativa, ribadisce alcuni punti fermi: era in corso un’operazione di demolizione e di sminamento ed era affidata a dei riservisti.

Colpa solo di un razzo di Hamas?

Dalla reale dinamica dell’incidente dipendono tutta una serie di successive valutazioni, anche politiche. Che erano già molto conflittuali prima, ma che ora sono diventate infuocate. E non si tratta solo di quanto a lungo fare la guerra, ma anche di ‘come farla’. Nel senso che l’esercito israeliano sta impiegando una quantità enorme di riservisti (pare oltre 350 mila), chiamati a integrarsi, in tempo reale, in delicate strutture operative. Insomma, gli errori, le ‘miscalculations’, le rotture della catena di comando, l’inosservanza delle ‘regole d’ingaggio’, possono essere l’altro lato della medaglia di una mobilitazione fatta in fretta e furia. E cominciano a esserci troppi episodi, in cui il cosiddetto ‘fuoco amico’ (e non Hamas) ha causato vittime israeliane.

Licenza d’uccidere

Necessario ricordare il tragico evento dei tre ostaggi israeliani, riusciti a fuggire ai loro carcerieri e poi incredibilmente assassinati, a uno a uno (pur brandendo tanto di bandiera bianca), dai loro stessi soldati. Una macchia indelebile su un esercito come quello dello Stato ebraico che, negli ultimi 75 anni, si era guadagnato fama di leggendaria efficienza. Ma che ora sembra entrato in una spirale, in cui la razionalità e la strategia cozzano con un confuso rigurgito di vendetta. Che fa emanare regole d’ingaggio tanto ‘elastiche’, da poterle adattare alle necessità dettate dalle circostanze? Forse.

L’avvocato eroe e lo spara spara

Non si trova altrimenti nessun’altra giustificazione capace di spiegare eventi come quello dell’avvocato Kastelman, il solitario eroe ebreo di Gerusalemme, capace di bloccare un terrorista, per poi essere abbattuto da un militare israeliano, mentre si trovava inginocchiato, a torso nudo, con le mani alzate, dopo che aveva gettato lontano la sua pistola e che aveva rivendicato la sua identità razziale e la nazionalità israeliana. In quell’occasione, rivolgendosi ai parenti affranti, il premier Netanyahu disse: «Sono cose che capitano». Suscitando l’indignazione di tutto il Paese.

Anche sul 7 ottobre…

E che dire dell’indagine su alcune vittime del 7 ottobre al kibbutz Be’eri? Pare che, in quella circostanza, sia stato un carro armato israeliano a sparare nel mucchio, uccidendo terroristi e ostaggi. Altra feroce polemica: sembra che ci sia un’inchiesta, per accertare se tre ostaggi, detenuti da Hamas, siano stati trovati morti avvelenati per colpa di gas immessi nei tunnel di Gaza dall’esercito israeliano. I parenti chiedono giustizia. L’ultima domanda, a proposito di regole d’ingaggio, la fa Haaretz.

Esiste ancora la ‘Direttiva Hannibal?

Si tratta, spiega il prestigioso quotidiano di Tel Aviv, di un ‘famigerato ordine operativo’, emesso da Israele nel 1986 durante gli scontri in Libano con Hezbollah. In caso di rapimenti, scrive Haaretz, «se il veicolo o i rapitori non si fermano, il fuoco a colpo singolo dovrebbe essere diretto su di loro. Anche se questo significa colpire i nostri soldati. In ogni caso, verrà fatto di tutto per colpire il mezzo e non lasciarlo scappare».

“Non detto ma di sostanza, meglio dei nostri morti subito che degli ostaggi con cui venire ricattati. Le famiglia dei circa 100 ostaggi israeliani di Hamas ancora in vita sono avvertite, nonostante le loro proteste e la recente invasione pacifica della Knesset”.

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

24 Gennaio 2024