L’OBLÌO SU SCHUMACHER

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Esattamente dieci anni fa Michael Schumacher inciampava in quel maledetto fuoripista in Savoia, fracassandosi la testa contro una roccia. I danni cerebrali apparvero subito pesantissimi, causati da una caduta a 60 km/h, lui che aveva passato metà della sua vita ad oltre 300 rannicchiato in monoposto senza mai scalfirsi un’unghia.

Dopo dieci anni, di questo indimenticabile campione restano soltanto i suoi strepitosi record. Solo per citarne una parte: maggior numero di mondiali vinti, di gran premi vinti, di podi, di pole position, di punti conquistati, di giri veloci, di vittorie double, nonché unico pilota a vincere cinque volte sia a Monza che a Indianapolis.

Un gigante dello sport. Nessuno come lui nella storia della Formula Uno. Le sue imprese resteranno indelebili nei ricordi di tante generazioni. Un mito che non tramonterà mai.

Non è morto, ma è come se lo fosse. Non per le ferite riportate in quella rovinosa caduta sulla neve, perché pare che quei dieci milioni di Euro che la famiglia sta spendendo annualmente sin da allora per restituirgli una vita un minimo dignitosa, qualche insperato e concreto frutto l’abbiano dato.

Ma sono informazioni inaccessibili. Quei pochissimi al di fuori della cerchia familiare che possono occasionalmente visitarlo mantengono le bocche cucite, onorando la cortina di ferro che i familiari hanno steso tra lui e i suoi fan.

Un comportamento lodevole. Ben distante da quello di chi avrebbe colto l’occasione per lucrarci, o per preparare ascese a qualche istituzione. Ma se da un lato l’assoluto riserbo della famiglia sembra, anche umanamente, comprensibile, dall’altro lascia perplessi la scarsa considerazione verso quella sterminata massa di fan, amanti della disciplina, che da un decennio vive in perenne ansia: è vivo, ma non si sa come; se cammina, se parla, se sorride.

Non è giusto. Il personaggio pubblico, specie uno come Schumacher, ha un legame solido con la propria collettività di riferimento. Tutti quelli che, non importa se esagerando, lo hanno visto per un ventennio quasi come una ragione di vita, hanno il diritto di sapere se e in che misura oggi lui riesca a interagisce con le persone, nella legittima speranza che un giorno possa tornare a farlo con loro, essendo relativamente giovane.

Insomma, quella eretta a difesa di Schumacher è una sorta di censura, applicata non da un organo pubblico, ma da una ristretta cerchia di familiari. Ma il risultato è lo stesso: impedire la conoscenza di un fatto di interesse pubblico.