DI ANTONELLO TOMANELLI
Il collaborazionista è colui che sul campo fornisce al nemico un apporto materiale o logistico.
Quando in Italia, dopo l’8 settembre 1943, si rese necessario regolare i conti con i cosiddetti collaborazionisti, venne emanato il Regio decreto legge 26 maggio 1944 n. 134, che all’art. 6 applicava le pene previste dal codice penale militare di guerra per «qualunque forma di collaborazione attiva, di aiuto e di assistenza prestata al tedesco invasore». Definizione che funse da apripista per quasi tutte le legislazioni del globo.
Il collaborazionista è il traditore per eccellenza. Chi si unisce al nemico in una operazione militare diventa collaborazionista. Come chi si improvvisa pilota di un mezzo militare nemico, o gli fornisce informazioni sulla ubicazione di truppe o di depositi di munizioni, o gli traduce comunicazioni intercettate.
Nel nostro codice penale militare di guerra, fino a qualche tempo fa per le ipotesi di tradimento era prevista la fucilazione alla schiena (poi sostituita dall’ergastolo). L’ipotesi che insegnanti e semplici possessori di un pezzo di carta, in Ucraina, vengano passati per le armi, pare tutt’altro che peregrina.
Cittadini che non hanno contribuito alle operazioni militari russe
L’arbitraria dilatazione del concetto di collaborazionismo operata da Zelensky altro non è che un vigliacco modo di perseverare nella repressione della popolazione russofona del Donbass. Equiparare al traditore, solo perché russofono, chi ha voluto garantire l’istruzione base ai bambini, o pensato di fuggire da un Paese in rovina, rappresenta uno sputo sul sistema dei diritti umani e la perdita di qualsiasi senso della vergogna. E i leader europei smaniano per far entrare questo Paese nella UE.
Come faranno i leader europei, da oggi in poi, a leggere questa frase pensando all’Ucraina nella UE e, nel contempo, a rimanere con la faccia seria?
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