ADDIO A SINISA MIHAJLOVIC, FUORICLASSE BULLO E IRRIVERENTE

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Doveva essere proprio terribile questa forma di leucemia, se alla fine è riuscita a spezzare quel giunco serbo chiamato Sinisa Mihajlovic. A settembre era stato esonerato dalla panchina del Bologna per scarso rendimento, dopo solo quattro giornate. A questo punto è lecito presumere che da lì sia iniziata la sua fine.

Mihajlovic esplose come calciatore nella Stella Rossa di Belgrado. Era un centrocampista di grande talento, con una inedita abilità sui calci di punizione, che incuriosirono persino i fisici dell’Università di Belgrado. Come fa questo ragazzo a calciare un pallone di cuoio di mezzo chilo facendolo viaggiare alla velocità di 160 km/h e mettendolo in porta, si chiesero. Con lui, nel 1991 la Stella Rossa di Belgrado vinse la sua unica Champion’s.

A 20 anni era già l’idolo dei suoi tifosi, i più violenti d’Europa, che più scocomerati di loro non se ne trovano. Una volta, tornando da una vittoriosa trasferta di coppa, il pilota che li trasportava fu costretto ad un atterraggio di emergenza, perché con i loro ondeggiamenti all’interno dell’aereo lo stavano pericolosamente inclinando.

Tra quegli scocomerati c’era Zeljio Raznatovic, meglio noto come Arkan, che anni più tardi verrà accusato di crimini di guerra per aver comandato le sue «Tigri» nei massacri contro la popolazione musulmana di Bosnia Erzegovina. Con lui Mihajlovic aveva stretto un rapporto di amicizia fin dai tempi della Stella Rossa.

Quando nel gennaio 2000 Raznatovic fu assassinato a Belgrado mentre festeggiava il suo matrimonio, Mihajlovic pare abbia fatto issare sugli spalti un pesantissimo striscione recante la scritta «Onore alla Tigre Arkan», riuscendo a convincere i pur dubbiosi tifosi della Lazio, quelli che prima di ogni suo calcio di punizione gli tributavano il coro «Sinisa-isa-isa tira la bomba-tira la bomba». Un pomeriggio ne tirò tre di bombe, segnando il record di goal realizzati su punizione in una sola partita.

Quando l’Occidente spedì i missili su Belgrado, in conferenza stampa disse che se la Nato avesse invaso la Serbia, avrebbe dovuto uccidere i Serbi uno ad uno, per ottenere la loro resa.

Memorabile l’imbarazzo in cui nel 2017, da allenatore del Torino, fece precipitare un giornalista sportivo di Mediaset che gli aveva rimproverato in diretta di non conoscere Anna Frank, come Sinisa aveva candidamente ammesso qualche giorno prima durante una conferenza stampa, suscitando polemiche.

Lui replicò chiedendogli se conoscesse Ivo Andric. Alla risposta negativa del giornalista, gli ricordò che Ivo Andric era lo scrittore serbo premio Nobel per la Letteratura nel 1961, studiato nelle scuole jugoslave di ogni ordine e grado. Io non saprò chi è Anna Frank, ma voi non sapete chi è Ivo Andric, sottolineò.

Mihajlovic era anche uno che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Come quando, in occasione della finale di coppa Italia del 2019, durante le tensioni del prepartita all’esterno dello stadio olimpico, uscì dall’auto affrontando a muso duro un poliziotto che lo aveva chiamato «zingaro».

Un grandissimo calciatore, un po’ bullo e con qualche idea bislacca in testa. Ma al pensiero che non lo rivedremo mai più, mi sale un certo magone.