L’OSSESSIONE DEL CIBO TRA NATALE E GUERRA: E’ SEMPRE FOOD PORN

DI ALEXANDRO SABETTI

REDAZIONE

 

Mangiare e soffrire, soffrire e mangiare: l’ossessione per il cibo incastonata tra Natale e guerra tocca punte parossistiche. Il food porn dice qualcosa di noi.

Natale e pandemia: l’ossessione per il cibo

L’aperitivo con gli amici, quello in riva al mare, quello sui Navigli; Salvini con i suoi selfie dove ingurgita qualsiasi cosa, pasta con le sottilette, hamburger, arrosticini. Avrebbe potuto scrivere una guida il leader leghista: 2023, cosa mangiare durante una tragedia; e poi, continuando, le foto dei dolci, delle pizze ripiene fino ad esplodere, e il pane, i lieviti in casa. Come dimenticare l’apoteosi durante il lockdown? Ora, ad attenderci, c’è lo spirito natalizio che sublima la sua esaltazione a tavola.

L'ossessione del cibo tra Natale e pandemia: è sempre food porn

L’ossessione per la cucina, per gli stili alimentari, per l’estetica in cucina si è diffusa in una società dove, paradossalmente, la maggior parte delle persone è costantemente a dieta. Tutto ciò trova ampio spazio sui social media, invasi da un lato da foto di esperienze culinarie e blog di cucina e dall’altro dalle lamentele di utenti satolli in cerca di dieta.

Questo fenomeno è particolarmente evidente nei palinsesti televisivi invasi letteralmente di trasmissioni di cucina, gare culinarie, reality tra ristoranti, cucine, cuochi domestici, mentre contemporaneamente fioriscono format che si occupano della gestione del corpo e del grasso in eccesso, insomma di dieta.

In questi anni si è parlato di foodporn, uno  degli hashtag social più di successo, termine coniato per descrivere un’ossessione per il cibo che rasenta quasi il pornografico.  Un ossessione che dev’essere condivisa socialmente

Il piacere di sedersi a tavola e godersi un pasto è quasi superato dall’idea che il godimento degli alimenti è prima di tutto visivo.

Ma il cibo, così come tante altre attività quotidiane, rappresenta comunque il nostro modo di essere, una sorta di status sociale, e risponde anche a un bisogno di affermazione. Ci proiettiamo su quello che fa più tendenza.

Ma c’è anche altro, se pensiamo a ciò he abbiamo visto durante i vari lockdown con le resse ai supermercati, nonostante non vi fosse nessuna carenza nella distribuzione.

L'ossessione del cibo tra Natale e pandemia: è sempre food porn

Assaltare supermercati, fare scorte di viveri, spopolare i ristoranti (per la paura) e riempire i frigoriferi. Mangiare comunque, sempre, in ogni circostanza: comunicarlo, fotografarlo, condividerlo. In assenza o in abbondanza.

La riduzione di tutto all’essenziale, al nutrirsi compulsivamente. La regressione primordiale dell’uomo a bestia impaurita: la tana, il cibo, una parete alle spalle per proteggersi.

Sigillare tutto, i confini, le strade, le porte di casa: chiusi dentro, pieni di cibo, saturi di grassi e colesterolo, ipnotizzati davanti gli influencer e al numero dei morti dell’ultimo conflitto in qualche parte del mondo che scorre in alto sullo schermo televisivo, come fosse il tabellone di un ufficio postale.

L’ossessione per l’invasione degli ultracorpi: di quelli troppo tisici, per strada, che potrebbero contagiare con uno starnuto, di quelli troppo robusti che scendono dalle navi, troppo in salute per essere profughi bisognosi di aiuto, dunque predatori concorrenziali. Mangiamoci su. Mangio dunque sono.

Natale e guerra: la menzogna social

È un complotto freudiano l’inganno dei bagordi natalizi: nessuno vi obbliga a mangiare. Non esiste la nonna mitologica che frigge tutto, anche l’aria che respirate.

Data l’età media su facebook, siete in realtà voi la nonna friggitrice, a meno che l’adorabile vecchina non abbia l’età e le sembianze del redivivo imperatore Palpatine di Guerre Stellari. Siete voi gli untori del colon, friggitori senza fine e lamentosi satolli sui social. Siete voi, sdoppiati, novelli Norman Bates dello Psycho Natale.

L'ossessione del cibo tra Natale e pandemia: è sempre food porn

Mangiare e soffrire, soffrire e mangiare

Un ricordo personale: qualche mese prima della pandemia, in un  pomeriggio primaverile a Roma, mi trovavo alla Casetta Rossa, un centro autogestito a metà strada tra una trattoria e una Casa del Popolo, per l’incontro con una combattete curda dello YPJ contro l’Isis in Siria, per parlare della repressione di Erdogan contro il suo popolo.
Durante l’incontro, via telefono, si collegarono con un altro compagno curdo impegnato in uno sciopero della fame da settimane, insieme ad altre centinaia di combattenti. Un racconto intenso, che appariva di un mondo lontano e distante e che invece era dietro l’angolo.

Ma ecco che, improvvisa, la distopia del reale contemporaneo, dell’occidente e di questi piccoli pezzi di amabile sinistra residuale: l’amico curdo raccontava con voce provata, dello sciopero della fame di centinaia di curdi, le loro sofferenze dignitose.

Un momento di verità, cruda, toccante. Mi voltai alle mie spalle e vidi tutti i compagni incupiti, sofferenti, indignati, mentre mangiavano pizze rustiche, fritture miste, olive, e boccali di birra.

Soffrire e mangiare. Mangiare e soffrire.

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Articolo di Alexandro Sabetti, dalla redazione di

24 Dicembre 2023