JANNIK, TI PREGO, FATTI RACCONTARE CHIE ERA “GIUANIN”

DI MARINO BARTOLETTI

 

Rubo l’attacco del mio post a un amico prezioso e insostituibile che mai come stasera sento la necessità di salutare….
Scusate se parlo (indirettamente) di me stesso.
Cominciai ad appassionarmi di tennis all’inizio degli anni ’60. Anzi, proprio nel 1960. Ero un bambino. Nella mia piccola Forlì c’era una buona attenzione per questo sport. Mio fratello mi obbligava a seguirlo nell’unico Circolo cittadino decente. Al di là delle sue imprese tanto precarie, quanto velleitarie, mi parlò di Pietrangeli, di Gardini, di Sirola (contro cui, da adulto – pensate un po’ – avrei persino giocato un doppio).
Scoprii che c’era una cosa che si chiamava Coppa Davis. E subito mi entusiasmò perché proprio in quell’anno (benedetto e gioioso anno olimpico!) l’Italia andò per la prima volta al Challenge Round, dopo aver superato in semifinale nientemeno che gli Stati Uniti di Buchholz e McKay ribaltando uno 0-2 iniziale.
Erano i giorni successivi al Natale. L’estate australiana. Allora i detentori avevano il diritto di “aspettare” gli sfidanti nella località e soprattutto sul fondo che preferivano (in questo caso, ovviamente l’erba).
Chiesi a mia madre di svegliarmi all’alba, malgrado fossi in vacanza da scuola, per avere dalla radio le notizie sul match. Andò male. Gli australiani erano Laver, Emerson e Fraser! I nostri fecero anche troppo a strappare il punto della bandiera con Nicola (che, pure, quell’anno a Wimbledon, aveva disputato in semifinale con Laver una delle più strepitose partite della sua vita.
Andò male anche l’anno dopo . Eravamo i più forti del mondo… esclusa l’Australia.
Però la cosa mi piaceva.
Chiesi ai miei genitori di iscrivermi a una scuola tennis guidata da Willi Luterotti, un antico maestro che scendeva in campo coi pantaloni lunghi e immacolati. Diciamo che imparai… molto poco. Rimasero la passione e la gioia di seguire questo sport
Nel 1970 andai a vedere la finale dei campionati italiani a Bologna: fra Pietrangeli e un certo Panatta. Il “giovane” batté il “vecchio”, in quello che diventò un passaggio di consegne epocale. Ma soprattutto, in tribuna stampa conobbi un signore che avrebbe illuminato (da lettore e da collega) i successivi anni della mia vita: Gianni Clerici.
Diventammo amici (come può essere amico un ragazzo di poco più di vent’anni con un mito assoluto di questo lavoro). Di lì a poco me lo ritrovai (anzi lui ritrovò me, per la verità) come compagno di banco della più strepitosa redazione sportiva italiana ai esistita: quella de “Il Giorno” (Brera, Clerici, Fossati, Gazzaniga, Dardanello, Signori…).
Gli volli bene (tanto): me ne volle anche lui.
Fui io – da ragazzo di bottega – a ricevere le sue telefonate dal dal Cile per la Davis vittoriosa del 1976: e, come si dice, a “passargli” i pezzi e a titolarli. E oggi è proprio a lui che penso (con un po’ di commozione): ai suoi insegnamenti, alla sua bravura immensa, alla sua competenza senza limiti, alla leggerezza e alla modestia con cui la dispensava. Ricordo i nostri viaggi, le nostre chiacchiere, le nostre cene davanti al suo lago di Como, la mia ammirazione, la mia voglia/necessità di ascoltarlo anche quando io ero diventato ormai grande e lui, ovviamente, un po’ di più. Ricordo la nostra ultima telefonata. Il groppo in gola.
Aveva fatto in tempo a vedere Sinner. E a capire a tutto (come dimostra il ritaglio che allego per illustrare il mio post) definendolo “Un ragazzo che rende felici”. Su questa domenica di gioia avrebbe scritto un articolo meraviglioso! E non è detto che non lo stia scrivendo!
Jannik, ti prego, fatti raccontare chi era Giuanin!
.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona, persona che gioca a tennis e testo