IL PIL? CHE VADA A QUEL PAESE

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Ci sono enormità morali e sociali che accettiamo con lo stesso disappunto che ci provoca una giornata di pioggia o una pietanza cucinata male.
Concetti mostruosi che tutti accettiamo come se fossero normali e che ci vengono ripetuti senza alcun imbarazzo da chi ci governa, di destra ma anche di sinistra.
In questi giorni di legge finanziaria sentiamo parlare con disinvoltura della spesa per la salute pubblica indissolubilmente agganciata al PIL e cioè al fatturato delle nostre aziende, come se l’andamento buono o cattivo degli affari avesse qualche relazione con la nostra salute. Come se tumori, infarti e malattie degenerative leggessero ogni mattina le quotazioni di borsa e in base ad esse decidessero come comportarsi.
Ma ci siamo bevuti il cervello?
Ammalarsi, soffrire e morire è una fase orribile della vita che riguarda tutti e un paese che vuole chiamarsi civile deve mettere al primo posto tutta l’assistenza possibile per chi quella fase sta attraversando, e che questa assistenza rappresenti il 4, 6 o 8 per cento del fatturato non dovrebbe fare nessuna differenza.
Non stiamo parlando di quanti carri armati comprare o di quanti nuovi ponti costruire, quelli sì possono essere programmati in base alle nostre capacità economiche.
Stiamo parlando di gente che crepa malamente in corsia se è fortunata e a casa o per strada se lo è meno e prima o poi ognuno di noi, dei nostri familiari e dei nostri amici entrerà a far parte di quella gente.