PIU’ ARMI OCCIDENTALI PER SALVARE L’UCRAINA. CERTI SOLO I PROFITTI DEI PRODUTTORI

DI MASSIMO NAVA

REDAZIONE

 

 

Sul Corriere della Sera il dubbio ben rappresentato dalla illustrazione di Doriano Solinas. «C’è il pericolo che il gigantesco sforzo finanziario determini profitti per i produttori di armi più che apprezzabili risultati politici e la pace in Ucraina». Massino Nava sull’Europa e l’Occidente nella corsa al riarmo, dopo che Piero Orteca ci ha detto dell’economia russa che va molto meno peggio di quanto vorrebbero i suoi molti nemici. Mentre la nostra di casa paga di più sia le sanzioni che il gas non più russo. Conti economici da brivido, e molti dubbi.

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Difesa europea e scelte industriali

Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato nei giorni scorsi un piano di spesa per la difesa di 413 miliardi nei prossimi sette anni. È il più grande investimento dal 1960, da quando il generale de Gaulle decise di dotare la Francia dell’arma nucleare. La Germania ha stanziato 100 miliardi nei prossimi cinque anni, per alzare la spesa militare al 2 per cento del Pil: benché la Bundeswehr avesse effettivamente bisogno di un massiccio ammodernamento, si tratta del più grande investimento dalla Seconda Guerra mondiale. La Polonia punta a spendere per la difesa il 5 per cento del Pil. Già oggi può vantare uno degli eserciti più numerosi ed efficienti d’Europa, grazie anche a moderni aerei e carri armati forniti da Stati Uniti, Corea del Sud e Germania.

Svizzera neutrale di convenienza e Giappone ex

La Svizzera difende il principio della neutralità, ma vende a Paesi europei munizioni per carri armati e caccia bombardieri per circa venti miliardi.
Fuori dai confini europei, è in corso il grande riarmo del Giappone, che ha messo in soffitta l’articolo 9 della Costituzione sul ripudio della guerra e ha raddoppiato il budget per la difesa. L’aggressività della Corea del Nord e le mire cinesi su Taiwan hanno convinto i giapponesi a prepararsi al peggio.

860 miliardi anno di armi Usa

Nulla di comparabile naturalmente alla spesa degli Stati Uniti, lievitata quest’anno a 860 miliardi di dollari, dodici volte la spesa della Russia e quattro volte la spesa totale dell’Europa. Le forniture e l’assistenza militare all’Ucraina sfiorano ormai i 40 miliardi di dollari. Il bilancio della difesa Usa è enorme, tanto più se rapportato alla spesa mondiale di tutti i Paesi messi insieme, circa 2.000 miliardi di dollari. (Secondo diverse stime, occorrerebbero circa 300 miliardi per sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030).

Corsa mondiale al riarmo

Gli investimenti menzionati sono in parte consacrati all’ammodernamento tecnologico, alla ricerca e alla cyber difesa, in parte alla produzione e in parte al ripristino degli stock svuotati per la guerra in Ucraina. Da queste cifre si conferma una corsa mondiale al riarmo secondo uno schema illusoriamente ritenuto superato dalla deterrenza nucleare e dalla fine della guerra fredda. Tenuta in ghiaccio -almeno per ora- l’opzione nucleare, si è riproposta, sia pure con mezzi più moderni e sofisticati, un modello di guerra convenzionale, di cui l’Ucraina e la Siria sono i più tragici e attuali esempi: decine di migliaia di soldati caduti e di vittime civili, distruzioni infinite e milioni di profughi.

Corsa al riarmo di reazione

La corsa al riarmo, scattata all’indomani dell’invasione russa, è una scelta quasi obbligata dei governi occidentali in risposta alla politica di Mosca e abbastanza condivisa dalle opinioni pubbliche. L’allargamento della Nato ai Paesi baltici e a nuovi membri nell’Europa dell’Est, il rilancio di un sistema coordinato di difesa europea e un sempre più impegnativo programma di aiuti militari a Kiev sono il corollario fondamentale di questa scelta.

Ma c’è il forte rischio che il gigantesco sforzo finanziario determini profitti per l’industria militare più che apprezzabili risultati politici, ovvero il contenimento della Russia, la sicurezza dell’Europa, la pace in Ucraina.

Il controllo delle armi all’Ucraina

Perché questi obiettivi siano realizzabili, occorre che alcuni problemi vengano affrontati senza indugi. In primo luogo, occorre un rigoroso controllo delle forniture militari all’Ucraina per evitare che una parte, più o meno importante, finiscano in mani sbagliate, nel mercato nero delle mafie e del terrorismo o addirittura in mani russe. L’eroismo degli ucraini non può essere una coltre di silenzio sul livello di corruzione del Paese. È necessario inoltre che le sanzioni siano sempre più efficaci contro la Russia e sempre meno penalizzanti per gli europei.

Anche Bruxelles e non solo Washington

In secondo luogo, occorre che il concetto di difesa europea si traduca finalmente in scelte industriali che privilegino le industrie europee. In terzo luogo, occorrono decisioni prese anche a Bruxelles e non soltanto a Washington: il sostegno unanime dei governi all’Ucraina continua a lasciare spazio a troppi distinguo e ipocrisie, come l’assurdo balletto sulla fornitura dei carri armati tedeschi, lasciata alla responsabilità di Berlino, come se la solidarietà a Kiev non dovesse comportare anche un atto di sovranità europea in materia di difesa.

Le ragioni e i torti a colpi di cannone

La guerra in Ucraina sta arrivando, o forse è già arrivata, a un punto di non ritorno. Sarà lunga e più sanguinosa. Non si vedono prospettive di negoziato. Parlano carri armati e missili. Possiamo continuare a discutere sui torti della Russia e sulle ragioni dell’Ucraina, ma avrebbe poco senso spendere tanto e ottenere così poco sul piano politico. Tanto più che le sanzioni non colpiscono solo Mosca, ma anche le nostre economie. Con risultati modesti, è inevitabile che la tenuta delle opinioni pubbliche ne risenta.

La Germania, l’Europa e l’Islanda

La Germania indecisa è più di un campanello d’allarme. Ci dice che il più forte Paese europeo ha paura che la Russia si spinga oltre ogni limite. E ci dice che l’Europa nel suo insieme non è ancora in grado di decidere a prescindere dai timori tedeschi o dai veti di questo o quel Paese. Altrimenti meglio fare come l’Islanda, membro della Nato, ma senza un esercito dal 1869.

 

 

Articolo di Massimo Nava, dalla redazione di

27 Gennaio 2023

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MASSIMO NAVA

Massimo Nava, giornalista, editorialista del Corriere della Sera da Parigi, già inviato di guerra in numerosi conflitti e autore di numerosi libri.