DI ANTONELLO TOMANELLI
Questa è l’immagine che campeggia sul profilo facebook di Brahim Baya, l’Imam della moschea di via Chivasso a Torino, invitato dai collettivi universitari a tenere la preghiera del venerdi, insieme ad un sermone sul Jihad. Fatti che hanno scatenato le proteste del ministro dell’Università Anna Maria Bernini.
Il professor Stefano Genua, rettore dell’Ateneo, si è dichiarato contrario all’iniziativa, facendo notare come sia stata imposta dai collettivi, che da quando occupano non lasciano passare nemmeno gli impiegati.
Che un ateneo italiano potesse un giorno diventare luogo di culto, era fino a ieri una cosa impensabile, quanto meno bislacca. Nessuno, a incominciare dai collettivi stessi, avrebbe mai immaginato, tanto meno accettato, che in quei locali potesse entrare, ad esempio, l’arcivescovo di Torino per celebrare una messa e disquisire su Gesù Cristo e la Bibbia, oltre che di politica internazionale.
Il motivo è presto detto. In Italia vige il principio di laicità dello Stato. Tradotto: lo Stato deve garantire alle confessioni religiose pari dignità, senza poterne preferire alcuna. Al contrario di quanto accadeva prima, sotto la vigenza dell’art. 1 dei Patti Lateranensi, poi cancellato nel 1984, che perentoriamente recitava: «La religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato». Solo in un simile arcaico contesto si può ipotizzare che una pubblica istituzione come l’Università ospiti il rappresentante di una confessione religiosa per fare proselitismo.
Sfoderando una conoscenza della lingua italiana sensibilmente superiore alla media dei suoi colleghi, l’Imam ha indicato nel Jhiad l’unico strumento di riscatto del popolo palestinese brutalizzato dai sionisti, utilizzando frasi che hanno fatto scattare l’allarme rosso alla professoressa Daniela Santus, docente nello stesso ateneo e studiosa di geografia della religione. Come quella che vuole uomini, donne e bambini «lottare anche con le mani» per far trionfare la giustizia in Palestina.
«Pensiero frainteso», si è affrettato a chiarire l’Imam, che a scanso di equivoci ha citato il versetto 5:32 del Corano: «Uccidere una persona innocente è come uccidere l’Umanità intera».
Una affermazione che dovrebbe tranquillizzare, se non fosse per il particolare, niente affatto marginale, che l’Imam, nel suo discorso di oltre mezz’ora, non ha minimamente accennato al 7 ottobre.
E allora viene spontaneo chiedersi: ma il versetto 5:32 lui lo applica anche ai bambini ebrei scannati il 7 ottobre? Costoro, secondo l’Imam, sono innocenti? Perché non avendoli citati neppure una volta nel suo sermone per la pace e la giustizia in Palestina, il dubbio può farsi strada.
Nella speranza che l’Imam chiarisca questo punto, è desolante dover constatare che il mondo al contrario non è quello del generale Vannacci, ma ciò che sta accadendo a Torino, straordinariamente ben rappresentato dalla immagine che l’Imam utilizza sul suo profilo facebook per pubblicizzare la preghiera del venerdi all’interno del Politecnico, che nei suoi auspici viene sostituito da una gigantesca moschea, con l’indirizzo in bella vista rimasto invariato.
Se ci sono voluti decenni per affrancarsi dal principio, tipico di uno Stato confessionale, della religione cattolica come religione di Stato, oggi all’Islam viene garantito un diritto di cittadinanza, all’interno di una istituzione pubblica come l’Università, che non ha precedenti per qualsiasi altra religione, compresa quella cattolica, e incluse tutte quelle che fin dall’effettivo avvento del principio di laicità hanno stipulato con lo Stato italiano le Intese previste dall’art. 8 della Costituzione. Intese che, si sa, ad ogni Imam provocano l’orticaria soltanto a sentirle nominare.