GIUSTIZIA È FATTA

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

In una competizione non puoi rifiutarti di stringere la mano dell’avversario, anche se appartiene a una nazione che ha invaso il tuo Paese. Questo il pensiero che ha indotto i giudici del campionato mondiale di scherma in corso a Milano a mostrare all’ucraina Olga Kharlan il cartellino nero e ad espellerla dal torneo, essendosi rifiutata al termine dell’incontro di stringere la mano alla russa Anna Smirnova, dopo averla battuta nettamente.

La Kharlan si era limitata a porgere la lama per il saluto. Ma la russa è rimasta in pedana con una mano sul cuore ad attendere il gesto della collega, obbligatorio per regolamento, che però non è mai arrivato. La Kharlan si è difesa invocando il protocollo Covid, che in effetti prevedeva la possibilità degli atleti di sostituire la stretta di mano con il saluto dell’arma.

Ma evidentemente qualcuno deve essersi dimenticato di avvertire la Kharlan che l’emergenza Covid è finita. Così, cartellino nero per la schermitrice ucraina, come prevede espressamente il regolamento in questo caso: nel mondo della scherma, Covid permettendo, rifiutare la stretta di mano è una cosa impensabile.

Una misura che ha scatenato la reazione furibonda del governo ucraino: «La decisione della Federazione internazionale di scherma di screditare la leggendaria schermitrice ucraina per essersi rifiutata di stringere la mano a un’atleta russa è la manifestazione di una totale mancanza di empatia, incomprensione del contesto emotivo ed è assolutamente vergognosa».

Da qui si capisce come il Covid c’entri come il cavolo a merenda.

In realtà, chi deve ancora assorbire il concetto di empatia, comprendere lo spirito della Carta Olimpica ed evitare comportamenti vergognosi è proprio il governo ucraino. Già il fatto di intervenire così pesantemente in un contesto dove la politica dovrebbe rimanere fuori parla da sé.

L’aver obbligato i propri atleti a rifiutare sistematicamente di stringere la mano ai russi è una eclatante violazione dell’art. 3, comma 2°, della Carta Olimpica: «Ogni forma di discriminazione verso un Paese o una persona, sia essa di natura razziale, religiosa, politica, di sesso o altro è incompatibile con l’appartenenza al Movimento Olimpico». Tradotto: l’atleta che discrimina non è degno di appartenere al mondo dello sport.

Ad essere screditata non è stata l’atleta ucraina, come vorrebbe sostenere quel governo in uno slancio di insuperabile immaturità, ma proprio l’atleta russa, che peraltro aveva chiesto alla collega, in modo piuttosto plateale, di rispettare il regolamento, rimanendo per 45 minuti sulla pedana in attesa di quel gesto.

Di qui la decisione di espellere la schermitrice ucraina dalla competizione, perché ritenere un avversario indegno di ricevere la stretta di mano solo perché di nazionalità russa, costituisce una palese discriminazione, non meno grave di quella che si attuerebbe rifiutando di stringere la mano di un nero o di un omosessuale.

Nel tennis, dove episodi del genere si sono ripetuti fino alla nausea, non si è mai arrivati a sanzionare alcuna atleta ucraina, per il semplice motivo che in casi del genere il regolamento non prevede l’esclusione dell’autore della bravata dalla competizione. Anche se una fonte normativa del calibro della Carta Olimpica, una sorta di Costituzione mondiale dello Sport, dovrebbe sempre integrare qualsiasi lacunoso regolamento.

Ma quello della scherma, nero su bianco, parla chiaro. Qui non vi è spazio alcuno per dispute.