La triste storia di Chico Forti

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Enrico Forti, detto Chico, parte da Trento nel 1992 per coronare il suo sogno: vivere negli USA. Ha appena vinto 86 milioni di vecchie lire al Telemike ed è un esperto di sport estremi. Stabilitosi a Miami, incomincia a produrre documentari che trattano di windsurfing, la sua grande passione, e che vengono pagati piuttosto bene da diverse emittenti televisive.

Poi la svolta. Il 15 luglio 1997 Gianni Versace, l’italiano più amato negli States, viene ucciso a Miami Beach con due colpi di pistola alla nuca mentre rincasa nella sua sontuosa villa art déco sulla Ocean Drive. Il colpevole viene individuato in Andrew Cunanan, un gigolo omosessuale di alto bordo, che negli ultimi tre mesi ha fracassato la testa a cinque suoi ex amanti. E’ lui il sospettato numero uno. Dopo una settimana viene trovato morto suicida dalla polizia di Miami in una casa galleggiante a qualche kilometro dalla villa dello stilista calabrese. Adagiato su una poltrona, si è sparato alla testa con una calibro 40.

Ma vi sono alcune incongruenze nella ricostruzione della polizia di Miami e Chico se ne accorge. Una fra tutte. La pistola usata da Cunanan per spararsi giace sulla sua coscia destra, quando gli esperti assicurano che un’arma del genere, dopo lo sparo, viene sempre proiettata di alcuni metri a causa del forte rinculo. E’ insomma quel tipo di pistola che andrebbe impugnata con due mani prima di sparare.

Viene quindi ipotizzato che Cunanan sia stato ucciso e poi portato all’interno della casa galleggiante per inscenare il suicidio. A sostenerlo è anche il detective Frank Monte, uno che ha offerto i propri servigi a membri delle famiglie Onassis, Rockfeller e dello sceicco di Dubai.

Anche sulla morte di Versace girano strane voci, che lo vedono rifiutare una proposta della mafia italo-americana, rifiuto cui sarebbe seguita quella che ha tutta l’aria di una esecuzione in piena regola.

Chico Forti decide di farci un documentario, «Il sorriso della medusa», in cui si evidenzia il pressappochismo della polizia di Miami nel condurre le indagini sulla morte di Cunanan. Il documentario esce nel settembre 1997.

Il 15 febbraio 1998 viene ritrovato in un boschetto, adiacente una spiaggia di Miami Beach, il corpo del 40enne Dale Pike, ucciso con un colpo di pistola alla testa. Accanto al corpo denudato, il suo passaporto e una scheda telefonica, da dove risultano alcune chiamate senza risposta indirizzate proprio a Chico Forti.

Già, perché Chico conosce Dale Pike. E’ il figlio di Anthony Pike, un imprenditore con cui Chico è in trattativa per l’acquisto, per un milione di dollari, del Pikes Hotel di Ibiza, dove negli anni ’80 George Michael girava i propri video musicali, e personaggi come Boy George e Grace Jones organizzavano feste che duravano giorni. Anthony Pike, noto negli ambienti per prediligere rapporti sessuali non protetti con minorenni pur essendo positivo all’HIV, è sull’orlo della bancarotta. E quella vendita lo risolleverebbe alquanto.

In effetti, quella sera stessa Chico va a prendere Dale all’aeroporto, perché così chiestogli proprio dal padre di Dale a titolo di cortesia. Dale chiede di condurlo ad un appuntamento nel parcheggio di un ristorante, dove a suo dire dovrebbe incominciare una notte di eccessi. Chico lo lascia in quel parcheggio, dove lo attende un misterioso personaggio su una Lexus bianca. Da quel momento Dale scompare.

Quando la polizia di Miami scopre un collegamento tra Dale e Chico, non crede ai propri occhi. Ha tra le mani proprio quell’odioso personaggio che con «Il sorriso della medusa» l’ha letteralmente sputtanata. Subito convoca Chico, che informato della morte di Dale e probabilmente preso dal panico, commette un’ingenuità clamorosa, dopo che un detective della polizia di Miami gli aveva sconsigliato di presentarsi con un avvocato: nasconde alla polizia di avere quella sera prelevato Dale in aeroporto. Non sa della scheda telefonica trovata accanto al cadavere.

In Italia un indagato può mentire. Negli Usa no, è un reato, come se fosse un testimone. Da quel momento la polizia di Miami stringe in una morsa Chico, senza nemmeno prestare attenzione ad alcuni particolari che ai più sembrerebbero addirittura grotteschi, anche per chi in buona fede potrebbe presumere la sua colpevolezza. Ad esempio, arrivato in aeroporto per prelevare Dale, per un equivoco non lo trova subito. Così, chiede alle autorità aeroportuali di lanciare un annuncio pubblico, del tipo «Il sig. Pike è atteso dal sig. Forti etc.». Un cretino piramidale, se avesse avuto intenzione di ucciderlo, no?

Ma la polizia di Miami ormai lo considera un assassino perché ha mentito. E nonostante ciò, non gli fa il «Miranda Warning», ossia non gli legge i diritti che spettano a qualsiasi soggetto nel momento in cui diventa un sospettato. Una mancanza che renderebbe nullo ogni atto susseguente.

La polizia avrebbe anche il movente. Senza uno straccio di elemento, gli inquirenti sono convinti che Chico abbia ucciso Dale perché ostacolava la vendita dell’hotel, avendo scorto in Chico intenzioni truffaldine e nel padre segni di demenza, incontrovertibilmente provata, a detta della polizia, dal fatto che un giorno, uscendo da un ipermercato, Anthony non si ricordasse dove aveva parcheggiato l’auto.

In realtà, il truffato sarebbe Chico. Si scoprirà, infatti, che Anthony Pike non avrebbe mai potuto vendergli l’hotel, perché ne deteneva soltanto il 5%, avendo già venduto il resto ad una società spagnola. Cade dunque il movente ipotizzato dalla polizia di Miami.

Inizia così il lungo calvario di Chico Forti, che culminerà nella condanna all’ergastolo. Nella giuria popolare c’è Veronica Lee, una ventenne che avanza più di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza di Chico, anche perché nota stranamente che alcuni testimoni citati dal suo avvocato spariscono misteriosamente dalla lista, senza che il legale nemmeno se ne accorga.

Il voto di Veronica potrebbe infrangere quella unanimità che la Corte Suprema ritiene imprescindibile in ogni condanna penale. Così, la ragazza viene messa nel mirino dai membri della giuria, che la bullizzano per tutta la durata del processo, ricordandole che «qui non siamo in Italia» e arrivando in certi casi a negarle persino la possibilità di consumare i pasti durante le pause. Alla fine Veronica crollerà, votando per la colpevolezza di Chico.

Il giudice che pronuncia il verdetto di colpevolezza è una donna e si chiama Victoria Platzer. Alterna periodi in cui fa il magistrato giudicante con incursioni nel ruolo di pubblico ministero. Proprio in quest’ultima veste ha attivamente partecipato alle indagini sulla morte di Gianni Versace, insieme a Gary Schiaffo, un losco detective che anni più tardi verrà condannato per falso in atto pubblico. Quindi, il giudice sa bene chi è Chico Forti, e cosa pensa di lui la polizia di Miami.

Prima di leggere la sentenza, il giudice Platzer, rivolgendosi a Chico, pronuncia le seguenti parole: «In effetti non ci sono le prove che lei abbia ucciso Dale Pike, ma io sono intimamente convinta che lei è colpevole».

In Italia, e non solo, una condanna anche soltanto ad una sanzione pecuniaria preceduta da una simile dichiarazione provocherebbe la nullità del procedimento e la destituzione del giudice. Ma negli USA non funziona così. Dopo una decina di ricorsi e reclami, l’ergastolo è diventato definitivo. Nella sentenza il giudice Platzer ha escluso qualsiasi possibilità di liberazione anticipata. Negli USA il fine pena mai esiste davvero.

Anni più tardi, Joe Tacopina, legale dello staff newyorkese di Donald Trump, parlerà senza mezzi termini del processo a Chico Forti come di «un coacervo di incompetenza e di corruzione».

Di fronte a un caso del genere, personalmente sarei contento per Chico Forti anche se a riportarlo in Italia, dove il fine pena mai non esiste, fosse stato Belzebù in persona.