SONO 75 ANNI CHE IL GRANDE TORINO SE N’E’ ANDATO

DI MARINO BARTOLETTI

 

Sono nato tredici settimane prima che il Grande Torino risalisse verso quel Cielo che lo aveva così crudelmente imbrogliato.
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L’ho sempre ritenuto un inprinting fondamentale della mia vita (professionale e non). Bastarono i racconti e la commozione di mio padre (juventino) a farmi capire, appena ne fui in grado, le dimensioni di quella leggenda: grande metafora certamente non solo sportiva di un Paese intero che, nella disperata ricerca di punti di riferimento e di “comunione”, riuscì a unirsi persino nel dolore.
Non ci fu italiano che non pianse per quei ragazzi. Così come, nello stesso anno, non ci fu un solo italiano che non gioì, pieno d’orgoglio, per i trionfi al Giro e al Tour di Fausto Coppi. Fu lo studio di quelle vicende “sociali” che mi indusse ad approfondire e a poi a divulgare il senso e il valore dello sport, declinati anche nelle loro versioni più alte e “simmetriche”: dalla felicità alla disperazione.
Sono 75 anni che il Grande Torino se n’è andato: la mia età.
Sono quasi 70 che, personalmente, ne coltivo la memoria in ogni forma (a cominciare dalle prime figurine che ancora conservo), fino alle mie visite piene di commozione a Superga.
Nel 1989, da direttore del Guerin Sportivo, non sapendo come onorare una volta di più quegli eroi (di cui avrei avuto la fortuna di conoscere tanti figli, da Sandro Mazzola, a Giorgio Tosatti, al caro e sfortunato collega Ferruccio Cavallero dei quali avrei avidamente divorato i racconti), impreziosii il giornale con un loro poster per celebrarne il quarantennale della scomparsa: un vero e proprio poster di “attualità” come quelli che dedicavo all’Inter che stava per diventare campione d’Italia, o al Milan e alla sua Coppa dei Campioni, o al Napoli a sua volta vincitore in Europa , o alla Juventus, o alla Nazionale. Più un intero inserto che raccontava la loro gloria: perché per me – ieri come oggi – quei ragazzi erano “presenti”. E vivi.
E sempre lo saranno!
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Marino Bartoletti