BUON VIAGGIO SINISA

DI MARINO BARTOLETTI

 

 

Oggi tutti parlano di Sinisa: ed è giusto così. Lo farebbe sorridere il fatto di essere riuscito ad “unire” (nel rimpianto, nell’ammirazione, nel dolore, nel rispetto) quanti a suo tempo aveva anche “diviso”. Ho letto cose molto belle e molto giuste su di lui: anche qualche piroetta che mi ha fatto sorridere (e che farebbe sorridere anche lui). Personalmente ho sempre e solo avuto un’opinione: ed è quella che scrissi il giorno del suo 50simo compleanno. Mi piace riprodurla senza aggiungere altro. Accompagnandola con una foto che dice tanto: quella della famiglia per cui ha vissuto.

Probedi Sinisa

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 5 persone e persone in piedi

______________________

Parlare di un amico è un esercizio spesso sconsigliabile, perché il legittimo piacere dell’elogio (e, spesso, anche il senso di protezione) non può prescindere dal dovere dell’onestà di opinione (e dunque anche di critica).
Ritengo Sinisa Mihajlović, un uomo di grande spessore: diretto, onesto, appassionato e leale. Alcuni censurabilissimi “scivoloni” – verbali e non – della sua vita non meritano giudizi sommari, figli come sono di culture e di sofferenze su cui non è facile essere documentati e sereni. Ben pochi di noi sanno che cosa voglia dire una guerra fratricida e la propria città (Vukovar) rasa al suolo; ben pochi di noi non hanno potuto salutare il padre morente perché le macerie lo rendevano irraggiungibile; ben pochi di noi hanno visto la propria casa distrutta da quello che era stato il nostro più caro amico d’infanzia; ben pochi di noi conoscono la distorta e brutale violenze di famiglie lacerate da divisioni etniche di cui ci sfugge la portata (Ivo, il fratello di sua madre croata, gli disse che avrebbe voluto scannare suo marito Bogdan – padre di Sinisa – “come un porco” perché era serbo).
L’Italia, in cui ha vissuto più della metà dei suoi anni, lo ha aiutato a crescere. Da piccolo amava le banane, ma la sua famiglia non poteva permettersele: sua madre Viktorija gliene comprava una a settimane, da dividere a metà col fratello. Lui le promise che se avesse fatto fortuna le avrebbe regalato un camion di banane.
Di Arkan e delle brutta storia del necrologio che gli dedicò ha sempre detto: ”Era un mio amico, capo dei tifosi della Stella Rossa. E io non ho mai tradito un amico. Ma non posso non condannare i suoi crimini. Come non posso non condannare tutti gli orrori della guerra. Adesso, però, è arrivato il momento di guardare avanti. Quando diventai allenatore della Nazionale serba pretesi che tutti i giocatori cantassero l’inno: ma anche che applaudissero quello degli avversari, a cominciare dall’inno croato”.
Ora è ambasciatore dell’Unicef. Fa molto per i reduci e soprattutto per gli orfani di guerra. Ma non ama che si sappia. “In quella che era la mia Patria abbiamo pianto e perso tutti: è giusto seppellire odii e rancori”
Quando conducevo “Quelli che il calcio” tenemmo praticamente a battesimo il suo amore per Arianna, che gli ha dato serenità, certezze e cinque figli. Un sesto, un anno fa, è morto prima di venire al mondo. “Penso spesso a quel bambino mai nato. Sarebbe stato bellissimo diventare padre a cinquant’anni”. Lei lo applaudiva all’Olimpico (con la cara Anna Marchesini che le faceva da impagabile contraltare): lui le dedicava le sue incredibili punizioni. Un pomeriggio ne segnò tre nella stessa partita. Soffre quando dagli spalti pretendono di insultarlo chiamandolo “zingaro”. Una volta, non potendone più, scrisse sul suo profilo: ”Sinisa, sei il mio zingaro preferito”
L’ho visto piangere solo una volta: parlando di Vujadin Boskov.
Io lo prendo com’è: rustico e sincero. In grado di sbagliare, ma certamente sempre pronto a chiedere scusa per ogni suo errore. E questo non è da tutti