JULIAN ASSANGE

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Non ho letto tutti i 251.287 cablogrammi resi pubblici da Julian Assange e Wikileaks che la diplomazia statunitense sparsa per il mondo, ambasciatori, consoli e incaricati d’affari (eufemismo per definire gli addetti allo spionaggio) hanno inviato al Dipartimento di Stato americano negli ultimi trent’anni o giù di lì.
Mezzo mondo giornalistico si è preso la briga di farlo al posto mio e ciò che ne emerge era già sotto gli occhi di tutti, almeno di quei tutti che hanno prestato un minimo di attenzione alla storia contemporanea. Udite, udite:
Gli USA interferiscono con la politica interna degli stati sovrani.
E grazie al cavolo possiamo dire tutti in coro ma ciò che colpisce leggendo qua e là è il livello infimo di quelle informazioni, roba da far apparire la redazione di Dagospia come un cenacolo di Premi Pulitzer.
Prendiamo ciò che riguarda l’Italia ad esempio, dalla corrispondenza segreta scopriamo che Berlusconi era amico di Putin e di Gheddafi e che nel tempo libero apprezzava le grazie muliebri. A Frattini invece stava antipatico Erdogan e Fassino reggeva il moccolo all’industria bellica. Su altre nazioni andiamo persino peggio. Gheddafi usava il botox per apparire più giovane, Putin viene acutamente definito come maschio dominante, Zapatero era un romantico di sinistra, Sarkozy vendeva rottami bellici agli emirati arabi, Erdogan vuole resuscitare l’Impero Ottomano e in Afganistan si fanno soldi con la droga.
Fa impressione che addetti pagati centinaia di migliaia di dollari mandino messaggi segretissimi al proprio governo per raccontare cose che io sento al bar tutti i giorni, fa impressione che basandosi su quei messaggi si decida chi debba, politicamente o fisicamente, vivere o morire e fa impressione che Julian Assange possa essere condannato a 170 di carcere e persino alla pena di morte per aver reso pubblica una discarica di spazzatura più puzzolente di Malagrotta di cui tutti eravamo a conoscenza.