TRE VISIONI A CONFRONTO (Parte seconda)

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Riflessione 2
BUDDHISMO E MARXISMO
Esistono punti di contatto fra Buddhismo e Marxismo?
Che paragone può esserci tra due personalità divise da oltre duemila anni? (Buddha nacque intorno al 560 a.C. e Karl Marx nel 1818 d.C)
Marx conosceva eccome il Buddhismo. Il suo legame con la filosofia Buddhista deriva dalla sua lunga amicizia con Karl Koppen, accademico tedesco, grande conoscitore del Buddhismo antico e del Buddhismo tibetano.
Nel 1866, Marx scrisse addirittura una lettera a una certa Antoinette Philips, affermando che aveva esercitato la sua mente secondo linee Buddhiste: «Così com’è, non mi importa di nessuno, e nessuno si prende cura di mè. Ma l’aria è meravigliosamente pura e rigenerante, e qui c’è aria di mare e aria di montagna allo stesso tempo. Sono diventato io stesso una specie di bastone da passeggio, correndo avanti e indietro tutto il giorno, e mantenendo la mia mente in quello stato di nulla che il buddhismo considera il culmine della beatitudine umana».
Marx sembra trascorrere la sua giornata al mare, esercitando una sorta di autodisciplina imperniata nel mantenimento di uno stato mentale senza pensieri.
In Occidente, più di uno studioso si è interrogato se Marxismo e Buddhismo fossero compatibili o meno. Evidenziando le analogie e le differenze tra queste due grandi visioni del mondo.
Ma anche ad Oriente non mancano gli studi su quanto il pensiero di Marx fosse più o meno conciliabile con l’ottica Buddhista.
Merita un’attenzione particolare la riflessione di Bhimrao Ramji Ambedkar, che in un suo scritto intitolato “Buddha o Marx” del 1956, si chiede se tra queste due figure siano di più i punti di contatto che di distanza.
Va detto che Ambedkar fu uno dei padri della costituzione indiana e si impegnò tenacemente per contrastare e abolire il sistema delle caste. Si convertì al Buddhismo e per le opere compiute in vita venne in seguito ritenuto da alcuni un Bodhisattva (un “illuminato”, un “Buddha”).
Secondo Ambedkar, Buddha e Marx convergono innanzitutto nel descrivere il posto che la religione e la filosofia devono occupare all’interno dell’esistenza umana.
Per Buddha, sottolinea Ambedkar, «la religione deve riferirsi ai fatti della vita e non a teorie e speculazioni intorno a Dio, all’Anima, al Cielo o alla Terra». La funzione della religione è di trasformare il mondo e renderlo felice, non di spiegare la sua origine o la sua fine.
Per Marx lo scopo della filosofia è trasformare il mondo: «Finora i filosofi hanno interpretato il mondo in modi diversi; ora si tratta di cambiarlo».
Per entrambi, dunque, quello che più conta, al di là delle speculazioni, è rendere il mondo un posto migliore.
In questa direzione l’etica Buddhista introduce il senso della collettività. È questa l’originalità del buddhismo. La purificazione non è più un rigido ed austero estraniarsi dal mondo.
Le prescrizioni morali non riguardano mai l’individuo singolo, isolato, che aspira alla propria salvezza. Non è sufficiente non fare del male, per elevarsi bisogna vivere in empatia con gli Altri. Quello che bisogna fare: lo si fa non solo per sé, ma attraverso gli Altri.
L’altra convergenza di rilievo riguarda ciò che Buddha e Marx pensano della proprietà privata.
Se per Marx l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione è un cavallo di battaglia, nel Buddha trova un’angolatura soprattutto morale: «l’infelicità del mondo è dovuta al contrasto degli interessi». In particolare, «la proprietà privata dei beni dà potere a una classe e dolore a un’altra».
È pertanto «necessario per il bene della società che questo dolore sia eliminato attraverso l’eliminazione della sua causa».
La fondamentale differenza tra i due consiste nei modi per combattere le ineguaglianze.
Per Marx, l’abolizione della proprietà privata si raggiunge per mezzo di una rivoluzione e l’instaurazione di una dittatura temporanea che ne consolidi i risultati: «la dittatura del proletariato». Questa fase di transizione deve poi lasciare posto alla «società senza classi».
Per il Buddha, invece, la via che bisogna percorrere per stabilire «il regno dei giusti sulla terra» è quella dell’autoperfezionamento e della “non-violenza” (Ahimsa).
E questo è possibile praticando i Pancha Sila (“Cinque precetti della coesistenza pacifica”) e seguendo le indicazioni del “Nobile ottuplice sentiero” (Arya Astangika Marga).
«Ciò che il Buddha desiderava – annota Ambedkar – è che ogni uomo fosse così preparato moralmente da poter diventare una sentinella del regno della virtù».
Ma per un marxista una rivoluzione senza la rivoluzione non è possibile. Per Marx la coscienza, il nostro modo di pensare, è determinato dagli interessi reali, dai rapporti economici dominanti. Non il contrario.
Mentre nel Buddhismo il primato del mondo materiale è rifiutato a favore del Nirvana.
Ma c’è poi un punto della dottrina Buddhista che non è trascurabile: la concezione del karma e della rinascita, secondo la quale le azioni che compiamo nella vita portano a dei frutti negativi o positivi, in questa vita o nella prossima.
Le sofferenze di questa vita potranno essere superate in una vita successiva. E’ in questo modo che nei secoli il Buddhismo ha giustificato o tollerato le disuguaglianze e i rapporti di dominio.
Tuttavia la lettura Buddhista della realtà ha lasciato un’impronta profonda nel corso della Storia contemporanea, al punto che la maggior parte delle nazioni asiatiche, di tradizione Buddhista, hanno abbracciato l’esperienza del Comunismo.
La Mongolia è stata il primo paese asiatico a diventare comunista (1924), seguita da Corea del Nord (1948), Cina (1949), Tibet (1951), Vietnam (1975), Cambogia (1975) e Laos (1975).
L’antropologo Claude Lévi-Strauss nel 1955 osserva: «Marxismo e Buddhismo stanno facendo la stessa cosa, ma a livelli diversi».
Non a caso, Tenzin Gyatso, Sua Santità il 14° Dalai Lama del Tibet, commenta così la sua forte inclinazione marxista: «Di tutte le moderne teorie economiche, il sistema economico del marxismo è fondato su principi morali, mentre il capitalismo si occupa solo del guadagno e della redditività… Il fallimento del regime nell’ex Unione Sovietica è stato, per me, non il fallimento del marxismo ma il fallimento del totalitarismo. Per questo motivo mi considero ancora per metà marxista e per metà buddhista».