ETIMOLOGIA

DI ORSO GRIGIO

REDAZIONE

 

Quando, prima ancora di alzarsi in volo, il sogno di Giulia venne spezzato da uno che le aveva fatto credere di amarla, come molti di voi ho provato un dolore sordo, innaturale, che nessuna parola voleva dire, né avrebbe saputo farlo.
E invece ne ho sentite tante, di parole. Troppe.
Così false e farcite di retorica da renderle superflue, fastidiose. Inutili.
Erano quelle dei tg, delle pagine social, dei politici, degli opinionisti di questa fava. Quelle di fantasiosi inviati che chiedevano ai genitori cosa si provasse in questi momenti, o quelle di chi delirava che il ragazzo era bianco e di buona famiglia e non poteva essere stato lui.
Figuriamoci: le faceva perfino i biscotti.
Erano quelle precotte di chi fingeva di cadere dal pero, stupito da tanto orrore, come se fosse stato un ca*zo di venusiano in gita turistica appena sbarcato sulla Terra. Erano quelle di chi si scagliava come una bestia immonda contro il padre e la sorella, colpevoli di mostrarci l’evidenza di quello che invece ci ostiniamo a non voler vedere, o li accusava di non soffrire abbastanza, come se ci fosse un modo giusto di soffrire.
E poi parole paracule di condanna, di dolore simulato, di circostanza da campagna elettorale. Qualcuna sembrava perfino giusta, ma erano tutte finte, a salve, perché quelle parole sarebbero rimaste tali, come è sempre stato, e finita l’eco dell’ultima sillaba detta tutto sarebbe tornato come prima e saremo stati ancora qui, resettati, pronti per un’altra esibizione al festival dell’ipocrisia.
Era la più facile delle previsioni.
E infatti eccole, le nuove lacrime di coccodrillo, per un’altra donna volata via.
Anche questa una tragedia che si poteva evitare ma non si è fatto. Si poteva, ma niente. Certo che è strano come ogni volta ci si renda conto che le cose avrebbero potuto andare diversamente e che alla fine di certi segnali non frega mai un caz*o a nessuno.
C’era infatti una denuncia per stalking ma essendo il tizio incensurato non se l’erano filata nemmeno di striscio, che sarebbe come dire che uno va al Pronto Soccorso già cianotico e con dolori lancinanti al petto e viene bellamente ignorato perché poche ore prima stava bene e aveva un bel colorito roseo.
E così si ricomincia col teatrino.
Le stesse parole, la solita commedia.
La verità è che il padre e la sorella di Giulia non hanno ragione, ne hanno di più.
E lo sappiamo tutti. Ecco il perché di tutto questo cianciare retorica, come se blaterare cazzate tipo “io non picchio le donne, ma le rispetto e se vogliono le lascio andare”, far passare cioè per straordinaria la cosa più naturale del mondo, bastasse per assolverci.
Non basta invece, colpevoli lo siamo un po’ tutti, perché non ci schieriamo mai davvero ‘contro’, non facciamo niente per condannare e isolare quelli che colpevoli lo sono davvero, non sfanculiamo abbastanza quelli che si vantano delle loro imprese da maschio alfa di stocacchio ritenendo la donna poco più che un buco dove sollazzarsi a piacimento, magari nascondendoci dentro le proprie insicurezze.
Per carità, io non ce l’ho certo con chi vive in libertà le sue storie d’amore e di sesso, di sicuro non ho morali da elargire, meno che mai in questo caso. Solo che credo nel rispetto ancora più che nelle regole e nella legge, e che certe cose, dal fare l’amore al buio come se fosse peccato a quelle più avanguardiste e spericolate si facciano solo in due. O non si facciano.
E credo che quando il gioco finisce, finisce.
In molti la pensate come me, ma come ho già detto non basta. Siamo comunque complici di un sistema sbagliato, teniamo il sacco, perché in fondo la narrazione gerarchica che fissa in alto il ruolo del maschio ci serve per conservare quella posizione dominante che la storia, fatta per l’appunto dagli uomini, ci ha assegnato come per diritto divino.
E allora dovremmo crescere tutti.
Gli uomini, perché non si può negare che la società sia costruita sul patriarcato, e che la prevaricazione nei confronti delle donne, se non nella pratica di sicuro nelle mentalità, sia una drammatica consuetudine.
Ma anche le donne, che fraintendono troppo spesso il cercare la propria identità con l’assomigliare all’uomo e ai suoi schemi, arrivando perfino a vantarsi di “avere le palle”.
Non le avete, le palle, e dovreste capire che è la vostra fortuna, non una mancanza.
Le palle non indicano forza, autorità e fermezza: provate a chiamarle coglioni e a dare a questa parola il suo significato primario (persona stupida, deficiente, cretino… secondo Wikipedia) e magari vi apparirà tutto più chiaro.
Per ognuno di noi c’è un momento per la forza e uno per la fragilità, uno per la fermezza e uno per la pietà, per i sorrisi e le lacrime, perché è questo che siamo: una girandola di sentimenti complicati che devono passare tutti l’esame del rispetto e che a saperli usare ci permettono di essere la meravigliosa scatola magica che siamo.
E che non risiedono nei coglioni, ma stanno nella testa, nell’anima e nel cuore che abbiamo tutti.
E non hanno sesso.
Vedi, avrei potuto cavarmela coi soliti auguri, in stile falso-ipocrita “Allora se non ci si rivede, tanti auguri a te e famiglia” e invece mi sono avventurato in questa filastrocca e gli auguri ve li faccio in un altro modo.
Gli stessi, per uomini e donne: considerate i coglioni solo per quello che sono, e curate di più la vostra scatola magica.