BOXE

DI ORSO GRIGIO

REDAZIONE

 

Amo la boxe.
Amo la sua epicità, quell’essere da solo sul ring dove prima ancora dell’avversario devi battere la tua paura, e ci vuole coraggio perché la sconfitta non solo umilia le ambizioni ma ferisce l’orgoglio e devasta il corpo.
Dove perdere è doloroso, frustrante, ma dove anche vincere può richiedere un prezzo troppo alto.
E dopo, ad ogni nuovo incontro, di quel coraggio ne servirà sempre di più.
Solo la boxe, però, quella che non c’è più, quella di quando la classe e la bellezza contavano più della potenza e della forza bruta e anche gli sbruffoni nascondevano un’anima, non quello che ne è rimasto oggi.
La boxe: quella di Mohammed Ali.
La pratico anch’io, da sempre.
Sono stato un pugile discreto, un massimo naturale. Con un po’ di attenzione sarei potuto rientrare nei massimi leggeri, ma sarebbe stata fatica sprecata: ho sempre pensato che fosse meglio perdere contro i giganti che raccattare inutili vittorie contro i nani.
Ho esordito negli juniores, molto presto, e il mio primo incontro è stato devastante: un ko dal quale mi sono rialzato a fatica e che mi ha segnato per sempre.
Era il mio debutto sul ring ed ero inesperto, senza preparazione. Non conoscevo i colpi, non sapevo tenere la guardia. E non le avevo mai prese, nemmeno dai miei genitori. Il mio avversario invece era una bestia senza pietà che picchiava come un fabbro.
Quel ko fu terrificante.
Mi ha lasciato cicatrici che ancora sanguinano, ma da quella sconfitta ho imparato a resistere, a diventare più forte.
Da allora mi sono allenato e adesso sul ring mi muovo bene, tengo la guardia da entrambi i lati, so prevedere i colpi dell’avversario per schivarli e poi colpire.
E ho imparato a incassare, anche se dopo quel primo incontro niente avrebbe potuto farmi più male. Come Rocky, i miei avversari li ho spesso sperculati dicendogli che mia madre me le dava più forte e mia madre, ve l’ho detto, non mi ha nemmeno mai picchiato.
Ho combattuto una vita ma non ho fatto una gran carriera. Ho boxato solo nei circuiti minori, quelli di provincia, con poca risonanza, qualche tv locale a seguire gli incontri e poco altro.
Credo che avrei potuto e saputo fare di meglio, mi dicevano che il talento ce l’avevo, ma è mancata l’occasione, forse il coraggio e di certo un po’ di fortuna.
Sono stato solo un pugile di quart’ordine, insomma, dove si prendono un sacco di mazzate e anche quando vinci le soddisfazioni sono poche; la mia bacheca dei trofei è piuttosto desolante, a parte i complimenti di un impresario per il quale ho combattuto che si complimentava per la mia classe, anche se poi pure quell’incontro è finito male.
Però mi sono sempre battuto al meglio di quello che potevo, lealmente, senza trucchi, rispettando le regole e gli avversari, e quando ho perso è stato sempre per il motivo più semplice: l’altro era più forte di me.
Non sempre più bravo, solo più forte.
E comunque al tappeto non mi ci ha mandato più nessuno.
Col tempo e l’età ho smesso di combattere nei circuiti ufficiali e ho continuato a praticare questo sport a livello amatoriale, solo per passione, per niente e nessun altro. Solo passione, e la dannata convinzione che la forza della Bellezza potesse battere quella dei muscoli.
Oggi combatto ancora ma la boxe è diventata altro. Ha perso anima, valori e dignità, ha stravolto le sue regole, è gestita dagli scommettitori, protetta dalle mafie, e per quelli come me vincere è diventato sempre più difficile e ormai non succede quasi più. Qualche buona ripresa la faccio ancora, ma poi gli incontri finiscono tutti nello stesso modo e le sconfitte ho smesso perfino di contarle.
Ma ancora nessuno che mi abbia rispedito al tappeto. Vincono ai punti, gli stronzi, coi cartellini fasulli dei giudici che si sono comprati.
Ma io sono ancora io e anche se rompere i coglioni nei cantieri o ubriacarmi di chinotto al centro anziani sarebbe più facile e meno doloroso, voglio continuare ad essere quello che sono: un pugile.
Poi però, in questo campionato over 70 dove mi batto adesso, scopro che potrebbe toccarmi un avversario terribile, non terrificante come il primo ma temibile e molto pericoloso. Un essere immondo senz’anima né sentimenti, fuori da ogni regola, in grado non solo di battere ma di annientare chiunque e ridurlo a brandelli.
Quando me l’hanno detto ho pensato che stavolta non ci sarei nemmeno salito, su quel maledetto ring, che avrei rinunciato, accettato la sconfitta a tavolino, farla finita e ritirarmi del tutto. In fondo la mia carriera di merda l’avevo fatta e l’idea di farmi massacrare dalla sua furia mi spaventava.
Un gigante dalla forza sovrumana e un vecchio pugile in disarmo sembrava una prospettiva poco rassicurante.
Ma la paura è durata poco. In fondo questo fenomeno non era invincibile come il primo, quello del primo incontro, aveva già perso altre volte e avrei potuto batterlo anch’io, perché se io per lui ero solo routine, un altro stronzo da mandare al tappeto, per me questo era l’incontro della vita. E poi non ero più il ragazzino di allora, ma un pugile vero. Anche se acciaccato dagli anni, dalle botte e dalle sconfitte, qualcosa di quel vecchio boxeur c’era ancora.
Così ho scelto un’altra volta di lottare. Non tanto per vincere, alla fine non mi è mai importato di vincere, ma per non arrendermi, per l’orgoglio, per non perdere la dignità. L’avversario da battere per primo sarò ancora io, sarà la mia paura, ma anche stavolta so che quel gran pezzo di merda non potrà mai colpire più duro del primo.
E al tappeto potrebbe andarci lui.
Questa è la mia vita, il chiodo dove appendere i guantoni può attendere ancora un po’.
In fondo c’è un ring per ognuno di noi.
Combattiamo tutti, anche se qualcuno lo chiama vivere.
C’è chi lo fa per la propria misera classifica e accetta solo gli incontri più facili, e chi come me ha invece ambizioni più alte e la pretesa di battersi anche al posto di quelli che sul ring non possono salirci o non ne hanno la forza, e lo fa pur sapendo che perderà ancora, rimedierà un sacco di cignate e il più delle volte le cose resteranno come sono.
Ma non si può tradire sé stessi, è tutto quello che abbiamo.
E anche quando l’avversario fa ancora più paura di tutti quelli incontrati finora, non può esserci un’altra opzione, perché alla fine il motivo per cui ci battiamo è sempre quello: sentirsi vivi, ancora prima di esserlo.
Quindi, se quell’incontro verrà confermato e ci sarà, sono pronto, preparato come si deve.
Un ultimo riscaldamento, poi tirerò su il cappuccio della tuta, uscirò dallo spogliatoio, camminerò piano lungo il corridoio buio che porta al quadrato. Ci salirò sopra, le presentazioni, le raccomandazioni dell’arbitro, guarderò negli occhi la carogna, guantoni contro, e poi all’angolo.
Pronto per il gong.
Boxe!
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