LE DONNE DI GINO CECCHETTIN

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Marsala. La madre di una 16enne, completamente persa per un 21enne, ha dovuto ricorrere al tribunale per difenderla dal fidanzato che le stava rendendo la vita umiliante e impossibile. Un costante controllo sul suo modo di vestire, una rigida selezione delle amicizie, fughini da scuola imposti per indebolire i rapporti con i compagni di classe, continui video girati in diretta per tenerlo informato sulla propria posizione. Un pazzo.

Cose già sentite e che puntualmente si ripetono. Ma il giudice sarà trasalito nel sentire la ragazza dire cose del tipo: io lo amo e voglio che rispettiate la mia libertà di amare.

Niente da fare. Il giudice ha disposto al pazzo per direttissima il divieto di avvicinamento, applicando ad entrambi un braccialetto elettronico.

Ha fatto benissimo. Qui abbiamo una minorenne, che per legge non può provvedere a se stessa, così tutto viene demandato all’autorità genitoriale. Ma l’eventuale maggiore età di certo non avrebbe attenuato l’urgenza di provvedere.

Una mia amica ripete che il problema del femminicidio dipende in buona parte dalla cultura della donna. E come darle torto? E non venitemi a dire che la ragazza in questione non può ritenersi matura a causa della minore età, perché dubito fortemente che un simile atteggiamento non lo replicherà tra dieci o vent’anni, se nel frattempo nessuno le spiegherà in cosa consiste un rapporto normale.

Anche perché questo tipo di cultura sta ampiamente emergendo con sconcertante evidenza proprio in questi giorni. Tra coloro che elevano Gino Cecchettin a simbolo della emancipazione e della riscossa femminile, la stragrande maggioranza è composta proprio da donne. Bisogna rispettare il dolore immenso di un padre che si è visto massacrare in quel modo la figlia, e che ora vuole fare qualcosa per noi, dicono. Vero. Non si devono spulciare le sue chat, dove si lascia andare a commenti non proprio commendevoli nei confronti delle donne. Anche questo è vero.

Ma l’errore grossolano commesso da queste donne è tenere distinte le due questioni. Nessuna legge mi impedirebbe di frequentare i social mentre mia moglie sta morendo di cancro, nemmeno quando invio messaggi portuali a troie strafighe. Ma personalmente non avrei mai il coraggio di autocandidarmi a presidente onorario del me too rimanendo con la faccia seria.

E se credete davvero nella lotta che ha annunciato di voler portare avanti costui, se davvero vi sentite rappresentate da uno che con ogni probabilità non è stato capace di cogliere il pericolo che stava attraversando la figlia, proprio a causa di quella cultura manifestata in quelle chat, e riuscite a vedere in lui soltanto una persona che vuole rendere giustizia alla figlia, allora avete proprio quel problema culturale al quale si riferisce la mia amica.