UTOPIA

DI ORSO GRIGIO

REDAZIONE

 

Io l’ho vissuta la stagione della protesta vera e degli scioperi, negli anni ’70 e ’80.

C’ero anche allora, e da abbastanza tempo per essermi rotto già le palle.
Certo, in alcuni casi il termine “selvaggi” era appropriato visto che la pratica degli scioperi era diventata una consuetudine, quasi un abuso, però è anche vero che le ultime conquiste dei lavoratori si riferiscono a quegli anni là.
Dopo si è spento tutto: calma piatta.
Ultimi per distacco su stipendi e condizioni di lavoro, rispetto al resto d’Europa.
E i lavoratori, a partire già dagli anni ‘90, sono diventati via via una categoria in estinzione. Non perché non esistessero più ma perché erano come trasparenti, non se li è filati più nessuno.
Zitti e buoni, per dirla con i poeti contemporanei.
Di scioperi non si è più parlato, se non qualche ora per le pensioni e per l’art. 18, più una formalità che una protesta.
Io parlo di scioperi veri, naturalmente, di lotta.
Non di inutili sfilate commemorative in piazza tanto per giustificare il ruolo del Sindacato.
C’era la consegna del silenzio e i manovratori non andavano disturbati; che fossero Ulivo, Margherita, PD, Europa o governi tecnici vari, lamentarsi e combattere per i diritti non era più permesso.
C’è voluto un governo della più fetida destra per risvegliare le coscienze.
E c’è voluto il ministro Salvini, madre di tutti gli ossimori, il cui squallore politico raggiunge da sempre abissi inesplorati, a convincerle di essere nel giusto e andare avanti.
Lo sciopero non è un pic-nic, non è un rinfresco o un apericena, non è un vezzo né un gioco.
E’ una scelta faticosa, difficile da fare, non è come quando lo facevamo a scuola per andare a cazzeggiare con gli amici.
E perché funzioni deve creare disagio a qualcosa e purtroppo a qualcuno, altrimenti è solo una trattenuta su uno stipendio già abbastanza di mer*a.
Parlo da “consumatore”, parola orribile quasi quanto “risparmiatore”, ma anche da lavoratore, perché io sto da quella parte lì, culturalmente, socialmente e umanamente.
E invece ogni volta cadiamo nella trappola del “divide et impera”, ci lamentiamo perché quello sciopero ci creerà delle difficoltà, opportunamente caricati a molla da chi uno sciopero non sa nemmeno cosa cacchio sia visto che non ha mai lavorato e che in tutta la sua vita miracolata non avrà mai bisogno di farne uno.
E’ un abominio atavico insanabile quello di cercare i colpevoli delle nostre difficoltà nei nostri simili, di dare colpe a chi sta peggio di noi, invece di capire i problemi degli altri e insieme individuare i bersagli giusti.
Se i trasporti si fermano, quel giorno ne faremo a meno. Dispiace, certo che dispiace, ma oggi non c’è nessun’altra forma di dialogo possibile fra chi sta al governo e chi lo subisce.
E dubito che ci sarà anche in futuro se non saremo noi a cambiare questo stato di cose.
Chi lotta per una giusta causa merita il rispetto di tutti, e la sua battaglia dovrebbe essere anche la nostra, perché prima o poi lo sarà davvero.
Purtroppo però restiamo solo piccole isole di egoismo, e non saremo mai un continente vero, che pretende e lotta per gli stessi diritti.
E se non siamo mai stati nemmeno popolo, come potremmo adesso essere una squadra?