STATI UNITI CON ISRAELE IN CERCA DI UN “DOPO” POSSIBILE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Invasione via terra operativa con i tank che tagliano in due la Striscia e accerchiano Gaza City. Gli Stati Uniti, sempre più soli accanto alla rappresaglia israeliana mandano Blinken a moderare il cimitero. Netanyahu nega anche la benzina ai generatori elettrici degli ospedali. Campi profughi di nuovo sotto le bombe e altri 195 morti a Jabaliya. L’Onu ripete: «Rischio genocidio».

Jake Sullivan, Consigliere per la Sicurezza nazionale e braccio destro di Biden, cinque giorni prima dello ‘Shabbat nero’: «Sebbene il Medio Oriente rimanga afflitto da sfide perenni, la regione è più tranquilla di quanto non sia stata per decenni».

 

“Colloqui urgenti” Usa per rimediare a cosa?

Oggi in Israele torna, ‘per colloqui urgenti’ Antony Blinken, il Segretario di Stato americano, a cercare di spiegare, al governo di Netanyahu, quello che non capiscono nemmeno alla Casa Bianca. Non è una battuta, ma è la fotografia della confusione nella quale versa l’Amministrazione Biden, di fronte a una crisi come quella di Gaza, divampata anche per la sua noncuranza. Washington, tutta assorbita dalla guerra in Ucraina e dalle tensioni nel Mar cinese meridionale, ha colpevolmente trascurato il Medio Oriente. Ora, però, a parte le vicissitudini belliche già di per sé abbastanza preoccupanti, gli americani cominciano a essere seriamente scossi dalla brutta piega diplomatica che hanno preso gli avvenimenti. Diventa difficile, se non impossibile, infatti, dopo le parole di ‘assoluto sostegno’ di Biden alla reazione israeliana, conciliare questa posizione con quella della ‘salvaguardia dei civili’. Che suona a molti come una sorta di ’excusatio non petita’.

Rappresaglia per arrivare a cosa?

Ecco cosa ha detto, a questo proposito, John Kirby, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa: «Stiamo lavorando molto duramente per continuare ad assicurarsi che i nostri amici israeliani stiano portando avanti queste operazioni con la massima attenzione, per ridurre al minimo le vittime civili e che il lavoro continuerà». Ma, bisogna aggiungere che, a parte i giudizi etici e morali, e le eventuali accuse di ‘crimini di guerra’ e di ‘violazione del diritto internazionale’, rivolte contro Israele, quello che in questo momento preme chiarire alla Casa Bianca è il futuro di Gaza. La domanda è: quasi novemila morti, finora, sotto le bombe israeliane, per che cosa? Chi amministrerà la Striscia dopo che gli aerei dello Stato ebraico avranno finito di raderla al suolo e, soprattutto, è sicuro che le truppe di Netanyahu si ritireranno?

Vendetta biblica e vuoto attorno

Ai giornalisti che parlano con Blinken, sembra di avere di fronte una Sfinge egiziana. Farfuglia risposte di comodo, ma probabilmente non sa nemmeno lui quello che frulla nella testa dei Supergenerali di Tel Aviv. Anche perché, e qui torniamo al nocciolo della questione, non si è ben capita finora l’effettiva catena di comando israeliana. Dopo lo shock del 7 ottobre, sono i militari a dettare modi e tempi? E in questo caso, trovandoci di fronte a un governo di ‘emergenza’ coalizzatosi per questioni di sicurezza nazionale, le scelte di politica estera sono influenzate primariamente da scenari e programmi bellici, magari di breve-medio periodo? Non lo sappiamo noi e forse neppure loro, e certo non lo sanno gli americani che mandano avanti Blinken a tentoni.

Blinken gira in tondo

Comunque sia, è il caso di dirlo, il povero Blinken gira in tondo. Oggi sarà pure in Giordania, per cercare di rimettere assieme i cocci del rapporto con gli arabi moderati, che Netanyahu ha mandato in mille pezzi. Supporto diplomatico in queste settimane, Barbara Leaf, Assistente per gli Affari del Vicino oriente, che ha fatto la spola con i Paesi arabi più ‘malleabili’, i pochi forse rimasti, per abbozzare un piano, una ipotesi sul futuro amministrativo di Gaza. Ma, secondo il Wall Street Journal, si sono fatti un po’ tutti da parte. Nessuno ha voglia di tirare fuori le castagne dal fuoco a Biden, che per la verità tutti, a cominciare dal saudita Mohammed bin Salman, vedono come uno di cui fidarsi poco.

Il governo del cimitero Gaza

Intanto, impazzano ipotesi di ogni tipo, sul futuro amministrativo della Striscia. In Israele, qualcuno parla addirittura di deportazione forzata della popolazione palestinese nel Sinai, altri invece vorrebbero rioccupare Gaza e continuare a controllarla militarmente. Il Ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto che, una volta eliminato Hamas, il suo Paese non è particolarmente interessato alla gestione della Striscia. Quindi gli americani non sanno che pesci pigliare e la loro idea, di rivolgersi all’ANP di Abu Mazen, rischia di affondare prima ancora di essere varata. L’Autorità Nazionale Palestinese, infatti, non è troppo ben vista dagli abitanti di Gaza.

“Intanto si continua a bombardare, anche senza avere un piano preciso per il ‘day after’, nella più classica delle strategie di foreign policy dell’attuale Amministrazione Usa. Che, abbiamo già detto, ha la colpa di avere troppo trascurato il Medio Oriente”.

Il “Medio Oriente pacificato” dagli Usa

Jake Sullivan, il Consigliere per la Sicurezza nazionale e braccio destro di Biden, ha pubblicato un articolo su ‘Foreign Affairs’ pochi giorni prima dello ‘Shabbat nero’: «Sebbene il Medio Oriente rimanga afflitto da sfide perenni, la regione è più tranquilla di quanto non sia stata per decenni». E era il parere del maggiore espero di Sicurezza nazionale d’America, che spiega a Biden ciò che bisogna fare o non fare. Sullivan ha pubblicato quest’articolo il 2 ottobre, cioè solo 5 giorni prima dei massacri di Hamas. Lo ha poi corretto di gran corsa, ma solo on line, ‘aggiornandolo’. Troppo tardi, e tutta la stampa americana lo ha fatto nero. Lui, imperterrito, rimane al suo posto e continua a propagandare il suo manifesto sulla ‘unipolarità’ a stelle e strisce e sulla prosperità del keynesismo bellico, cioè ‘burro e cannoni’. Tutto assieme, appassionatamente.

Tra vendetta e sete di potere, conflitto permanente

Se la politica estera è priva di razionalità e diventa solo la risultante di un perverso intreccio di vendetta e sete di potere, allora il risultato finale è l’instaurarsi di un conflitto permanente. La crisi arabo-israeliana, in senso lato, ne è un modello probante. E i massacri di Gaza, da quelli perpetrati da Hamas ai bombardamenti indiscriminati sui campi profughi della Striscia, ne sono l’ultimo esempio. Se a questo scenario, già complicato di suo, si aggiungono poi anche altri elementi a completare il grandangolo geopolitico, ci si accorge che tutte le tessere del mosaico traballano. E che nessuno è in grado di stabilizzarle.

“John Mearsheimer (con Sebastian Rosato) ha scritto un’opera (How States Think) che può essere considerata una bibbia del pensiero strategico. Descrive una teoria delle scelte in politica estera e, soprattutto, i processi che elaborano la razionalità applicata. Chissà se Jake Sullivan ne ha mai sentito parlare”.

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

3 Novembre 2023