WALL STREET VUOLE CHE FINISCA LA GUERRA PER FAR PARTIRE IL BUSINESS DELLA RICOSTRUZIONE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

«Può sembrare un tantino rivoltante, ma già c’è chi, sulla pelle dell’Ucraina e sul sangue dei suoi morti, pensa a imbandire la tavola per l’enorme abbuffata». Piero Orteca, cronista testimone di mille nefandezze umane, ancora di indigna. «Quella dei capitali che pioveranno, a miliardi di dollari, per la ricostruzione dopo la guerra». Forti interessi americani oltre le enormi commesse militari, ma anche ucraini per il ‘cessate il fuoco’ senza vittoria che presto o tardi sanno che arriverà.

Avvoltoi di guerra e di dopo guerra

È un giornale di “seconda fila”, il New York Post (NYP), a parlare delle grandi manovre che, per ora, si svolgono sotto traccia. Il quotidiano fa anche un resoconto dei dibattiti (qualcuno allarmato), tra i tanti finanzieri d’assalto che vorrebbero partecipare al “business” post-bellico. Così Carlo Gasparino, in un articolo titolato «Wall Street ha gli occhi puntati sull’Ucraina», scrive che «la più grande società di gestione finanziaria del mondo, BlackRock, continua a tenere riunioni di alto livello con il governo di Kiev, compreso Zelensky». D’altro canto, è la considerazione del NYP, l’Ucraina è pronta a ricevere massicci stanziamenti americani, per rimettere in piedi tutte le infrastrutture devastate dai bombardamenti russi. Gasparino, tra le grandi holding interessate, cita anche JPMorgan, che, recentemente, ha spedito i suoi rappresentanti in prima linea, dalle parti di Kiev, dove, tra un missile e l’altro, hanno cercato di monitorare la situazione.

Pronti subito 100 miliardi

Da ciò che ha potuto appurare il NYP, le banche private americane avrebbero già pronti i fondi da investire in Ucraina. Almeno fino a 100 miliardi di dollari. Il problema principale è, naturalmente, che bisognerà prima far finire la guerra e censire i danni, per poi passare ai progetti di ricostruzione veri e propri. Che devono essere pianificati, integrati e finanziati.

Ostacolo corruzione, finanza Usa da Zelensky

Il secondo ostacolo, purtroppo, è la corruzione, che esiste come in tutte le società del blocco ex sovietico. È un’eredità o, meglio, una logica conseguenza di una ipertrofia burocratica spaventosa, che ha alimentato fenomeni di parassitismo in tutti i gangli della macchina statale. Jamie Dimon di JPMorgan e Larry Fink di BlackRock hanno incontrato Zelensky nelle scorse settimane, per discutere le prospettive di una possibile collaborazione finanziaria. Visto il calibro dei proponenti, entrambi hanno potuto chiedere al Presidente ucraino di intervenire per stroncare i fenomeni di corruzione che, a loro avviso, si verificano nel suo Paese. Specie a livello di governance. Bene, pare che i banchieri Usa non siano rimasti molto soddisfatti dagli impegni presi da Zelensky. «O non se ne rende conto – è stato il commento – oppure non riesce a farlo». Però, a merito del Presidente ucraino, va detto che, nelle ultime settimane, i suoi ripetuti interventi hanno portato a diversi cambi al vertice del Governo

Zelensky oltre la guerra quanto?

Dall’esterno, molto semplicemente, non possiamo sapere quanto è forte il suo potere contrattuale. Il timore dei banchieri americani, però, è che accanto a Zelensky ci siano degli ‘oligarchi’ (sullo stile russo) più o meno mascherati che, quando arriveranno i capitali, si daranno da fare ‘per dire come spenderli’.

Capitalismo clientelare detto “oligarkhiya”

A questo punto, il rischio di investire in Ucraina, per la ricostruzione, viene così riassunto dal New York Post: «A Kiev, questo marchio di capitalismo clientelare si chiama “systema” oppure “oligarkhiya”. È un’alleanza tra governo e grandi imprese che mina la forza della concorrenza del libero mercato. Guadagni e concussioni fanno parte del sistema e questo è sempre un vicolo cieco per un capitale privato significativo».

Wall Street pronta, ma non di corsa

In realtà, pare di capire che, in prima battuta, a Wall Street, tutti si siano convinti che la guerra potrebbe durare a lungo. E fino ad allora nessuno si muoverà. Zelensky ha detto che non cederà nemmeno un metro di territorio. Mentre Putin non accetterà mai che si rimetta in discussione l’annessione della Crimea, fatta dalla Russia nel 2014. A queste condizioni, le trattative sono morte prima di nascere. Ma il problema è che manca un ‘piano B’ per chiudere la guerra. Così, si va avanti giorno per giorno. È la strategia sposata dagli americani, che potremmo definire ‘per prova ed errori’, senza uno straccio di logica preordinata.

Zelensky-Biden, “aspetta e vedi”

Che Zelensky, in qualche modo, sia quasi obbligato a giocare il ruolo dell’intransigente totale, è anche testimoniato dai sondaggi citati dal NYP. La sua popolarità nazionale, attualmente, è al 90%. Se accettasse di cedere definitivamente alla Russia alcune parti dell’Ucraina, però, il suo gradimento crollerebbe al 40%. Tutto ciò è un grande problema anche per Biden, che avrebbe voluto dissanguare la Russia con una guerra lunga. La strategia ‘wait and see’, invece, costa un sacco di soldi americani e occidentali, mentre già cominciano a levarsi le prime voci, che esigono controlli ‘più ravvicinati’ per quanto riguarda le spese per l’Ucraina.

Debito Usa, 123% del Pil

Il debito federale Usa ha toccato il 123% del Pil, mentre le spese per la difesa stanno rapidamente aumentando, sotto l’Amministrazione democratica. Nel 2022, solo per sostenere l’Ucraina, il Congresso degli Stati Uniti ha dovuto ratificare o stanziare fondi per 112 miliardi di dollari. Una cifra enorme.

Ora, l’equazione è semplice: più dura la guerra e più soldi ci vorranno per combatterla. Più dura la guerra e maggiori saranno le distruzioni di infrastrutture, impianti industriali e impianti civili. Insomma, più dura la guerra e più ci costerà fare la pace.

 

 

 

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

27 Febbraio 2023