ZELENSKY A SANREMO: LA MUSICA È COME LA GUERRA

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Molti saranno crollati dal sonno prima che Amadeus arrivasse in livrea a leggere alle 2.15 del mattino il messaggio che Zelensky ha voluto mandare agli italiani approfittando dello spazio incredibilmente concesso dalla Rai, in un programma in cui già parrebbe surreale vedere il conduttore leggere un proclama politico, figuriamoci bellico.

Anche se non vi è alcun accenno alle armi, il messaggio resta osceno. Indiscutibilmente marziale, definirlo fuori contesto sarebbe a dir poco eufemistico. Personalmente lo collocherei a metà strada tra il messaggio che il generale Ripper manda ai caccia da combattimento a margine dell’ordine di attacco nucleare contro la Russia nel film Il Dottor Stranamore, e il proclama che il principe nero Junio Valerio Borghese avrebbe dovuto leggere sulla Rai una volta perfezionato il golpe del dicembre 1970.

In effetti, può sembrare il messaggio di un folle, che soltanto uno come Amadeus poteva accettare di leggere.

La cosa che più colpisce è il chiaro parallelismo tra la musica e la guerra. Come a Sanremo vincono la bellezza e la magia della musica, così l’Ucraina vincerà questa guerra. «Vincerà grazie alla voce della libertà, della democrazia e, certamente, della cultura», fa sapere il prode Zelensky per bocca del pavido Amadeus. Per la verità, libertà e democrazia sono concetti poco conosciuti in Ucraina. Mentre la cultura russa, che spopola in tutto il mondo, in Ucraina è stata letteralmente spazzata via.

Zelensky non ha voluto rinunciare a qualche frase ilare, come quando, dopo aver lodato la bellezza della musica e introdotto l’utilità della guerra, premettendo che nel mondo non esistono soltanto cose belle, ha detto che «purtroppo oggi nel mio Paese si sentono spari ed esplosioni». Tabula rasa di quei dieci anni in cui la popolazione russofona del Donbass sentiva soltanto gli spari e le esplosioni provocate dall’esercito di Kiev. Non mi sembra né il luogo, né il momento per scherzare, avrebbe dovuto dire qualcuno interrompendo Amadeus.

Del resto, per comprendere di chi stiamo parlando, basta guardare Yaroslav Melnyk, l’ambasciatore ucraino in Italia, che nella conferenza stampa del prefestival ha avuto il coraggio di pronunciare queste parole, rimanendo con la faccia seria: «la cultura non può stare fuori dalla politica, soprattutto in tempo di guerra».

Se quella italiana fosse una televisione seria, qualcuno avrebbe immediatamente stoppato questo individuo facendogli notare due bestialità.

Prima di tutto, la cultura deve sempre stare fuori dalla politica. Capisco che in Ucraina, dove la democrazia non decolla, sia una cosa normale. Ma la nostra Costituzione ci impone il contrario. La cultura è espressione di chi la crea, non di chi è al Potere, caro il mio ignorantone ambasciatore ucraino.

In secondo luogo, terrei a ricordare all’ambasciatore ucraino che l’Italia non è in guerra. Quindi, se proprio non può trattenere quel bisogno per lui fisiologico di ancorare la cultura alla politica, lo faccia a casa sua.