IL PIANTO GRECO DELL’ONOREVOLE SOUMAHORO

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Non c’entrerà per nulla con i loschi traffici che per la Procura della Repubblica di Latina, moglie e suocera avrebbero messo in piedi omettendo di versare gli stipendi ai propri dipendenti, tutti rigorosamente immigrati, a fronte degli ingenti fondi ricevuti dallo Stato per aiutare altri immigrati messi peggio di loro. Ma la scelta del parlamentare di origine ivoriana di fare un video in cui scaglia il proprio pianto contro chi, a suo dire, lo vorrebbe morto, pare eccessiva.
A notizia trapelata, l’onorevole Soumahoro si era trincerato dietro il classico no comment. Una scelta dignitosa e al tempo stesso azzeccata. Ma cosa sia accaduto in 48 ore per indurre il parlamentare a sparare a zero contro chi vorrebbe annientare il «negro da cortile», non è difficile da immaginare.
Certo, Soumahoro qualche nemico deve esserselo fatto. A incominciare dalla CGIL, quando nel 2020 ebbe la sfrontatezza di fondare, in un’ottica di tutela dei braccianti sfruttati, la «Casa dei Diritti e della Dignità di Giuseppe Di Vittorio», storico sindacalista antifascista, usurpandone il nome in spregio ai diritti d’autore del più potente sindacato italiano.
Ma con chi ce l’ha l’onorevole Soumahoro? Con i magistrati che indagano, con le decine di immigrati che giurano di salari mai corrisposti, pagamenti in nero, fatture false e persino maltrattamenti di minori posti sotto la custodia delle cooperative gestite dalle due donne, o con quei burattinai che, a suo dire, agirebbero alimentando il più classico dei complottismi?
Non è dato saperlo. Ma una cosa che l’onorevole Soumahoro dovrebbe sapere è che intervenire a gamba tesa su indagini in corso, rivolgendo esplicite accuse di razzismo a chi comunque sta lavorando per l’accertamento della verità, non è un atteggiamento avallato dalla nostra Costituzione, che vuole la magistratura autonoma e indipendente da ogni altro potere dello Stato. Specie quando l’intervento da cartellino giallo proviene da un parlamentare che presenta addirittura vincoli di parentela con gli indagati.
Come dovrebbe rendersi conto della temeraria iniziativa di accostare la propria figura a quella di Peppino Impastato. Il riferimento alla «montagna di merda» alla quale il giornalista siciliano era solito ricorrere per identificare quella mafia che poi lo uccise, e che in quel video l’onorevole Soumahoro riversa su se stesso con rara disinvoltura, ci allontana irrimediabilmente dal comprendere i termini della questione.
L’onorevole Soumahoro dovrebbe, semmai, dichiararsi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, esprimendo fiducia, non contrapposizione, nei riguardi degli organi inquirenti, evitando di rivolgere proclami misti ad anatemi e di plagiare la lettera che Nicola Sacco scrisse al figlio poco prima di sedersi sulla sedia elettrica allestita dallo Stato del M;assachusetts.
Nicola Sacco, lui sì un poveraccio, lui sì stritolato e ammazzato, insieme all’amico Vanzetti, da uno Stato razzista, ma che alla lettura della sentenza non ebbe nulla da dichiarare.