PERCHE’ IN ITALIA IL MOVIMENTO PACIFISTA E’ COSI’ DEBOLE ?

DI ALBERTO BENZONI

 

Sto parlando dell’Italia. Perché non so quale sia la situazione in altri paesi europei.

E questo è già un primo segnale della nostra debolezza. I guerrafondai, leggi quelli che vogliono la prosecuzione del conflitto sino alla vittoria, hanno una potenza di fuoco internazionale. Noi non riusciamo ad uscire dai nostri confini.
Ma siamo deboli anche per altre ragioni. Per ragioni esterne. Ma anche per responsabilità nostre.
Siamo deboli, in primo luogo, perché la nostra tradizionale area di riferimento, la sinistra laica e cattolica o è diventata francamente ostile o si muove con cautela e “sotto traccia”.
Abbiamo un Pd primo tra tutti nell’ardore bellicista avendo assorbito, fino a farne una seconda natura, l’atlantismo senza se e senza ma e la cultura esiziale dell’interventismo democratico. Mentre gli appelli del Papa perdono la loro forza scendendo verso terra in un mondo cattolico politicamente allo sbando. O comunque lontano dal mondo della politica.
Siamo deboli perché, almeno qui da noi, si è affermata una cultura della guerra (magari per bieche ragioni strumentali) che bolla come putiniano o, peggio ancora, nemico interno, chiunque si azzardi a contestare l’opinione ufficiale. E in cui si si cambiano continuamente le carte in tavola, soffermandosi su “chi è l’aggressore e chi è l’aggredito” , materia su cui l’accordo è pressoché generale; mentre oggi la materia del contendere, divide chi vuol porre termine alla guerra e chi, invece, vuole proseguirla fino alla vittoria.
Ma siamo deboli anche per deficienze nostre. Una, tutto sommato, veniale. L’altra, invece, rovinosa.
Peccato veniale, affidarci alle manifestazioni; precedute, peraltro da fastidiose e inutili discussioni sul contenuto dell’appello. Ai nostri (più o meno lontani) tempi le manifestazioni e gli appelli funzionavano eccome; ma perché c’era la predisposizioni a vederli e ad ascoltarli. Oggi, non più; fino a ignorare il fatto che, nello scorso novembre a Roma c’erano diecine di migliaia di persone e, nella contromanifestazione di Milano, qualche centinaia.
Errore, invece, gravissimo, continuare a insistere sulla parola “pace”. Perché è una parola che, in sé e per sé, non ci distingue dai nostri avversari (“siamo tutti per la pace”). Perché la pace coinciderebbe con il riconoscimento dell’attuale stato di fatto e non va bene. E, infine, perché la pace si dovrà e si potrà cominciare a costruire ma solo nel corso del tempo; una volta, consolidata la fine delle ostilità.
E allora il nostro obbiettivo, la nostra parola d’ordine dovrebbe essere non la pace ma la tregua, oggi provvisoria ma, nell’immediato futuro a tempo indeterminato. Quella che vogliono i popoli del mondo. Quella che porrebbe fine alla deriva che ogni segna l’Europa. E alla corsa folle al riarmo. E al lento logoramento della democrazia un po’ dappertutto nel mondo. E, possiamo dirlo tranquillamente, alle sofferenze presenti e future del popolo ucraino.