I TRE DI MOSTAR 30 ANNI DOPO: “TUTTI ORA DORMONO…”, ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

DI ENNIO REMONDINO

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Le immagini dei morti quotidiani tra i giornalisti a  Gaza, a ricordare il 28 gennaio 1993, 30 anni fa esatti, quando i tre colleghi della Rai Trieste, Marco Lucchetta, Sasha Ota e Dario D’Angelo vennero uccisi da una granata mentre stavano facendo un reportage sulla impossibile vita dei bambini bersaglio di Mostar Est, la parte musulmana della principale città croata dell’Herzegovina. Ricorrenza certamente ricordata meglio da molti altri. Da parte mia, quasi un pianto, su cose di questo mestiere che per pudore non raccontiamo mai. Io ci avevo in parte provato in un lontano libro, «La televisione va alla guerra» da cui ripesco il ricordo di quella maledetta giornata di Mostar.

Capitolo finale con perorazione: “In silenzio per favore”

«Soltanto fra molti anni capiremmo, forse, quanto la guerra sia stata devastante per tutti noi. Anche per quelli che si credono fuori, lontani, appartenenti ad un’altra civiltà, ad altri valori e destini. Questa violenza senza limiti, quegli orribili massacri hanno sconvolto il nostro modo di essere, lo stesso concetto di bene e di male».
Lo sfogo accorato di un caro collega, Adriano Baglivo del Corriere della Sera, raccolto da uno dei maestri del giornalismo italiano, Ettore Mo nel suo libro ‘Sporche guerre’, ambedue scomparsi, scriveva «i corpi dei nostri colleghi sono disseminati ovunque, sulle colline, le montagne, le rive dei fiumi, i parchi-cimitero della Slovenia, della Bosnia Erzegovina, e nelle terre di nessuno».

La televisione nel Paese di morti

Non puoi tentare di raccontare il particolare della televisione in guerra senza cercare di raccogliere le voci degli amici sparsi in quell’enorme paese di morti. Giornalisti, e prima ancora cine e foto reporter, i dannati delle immagini. Per la verità, alcuni di loro, giornalisti lo sono diventati soltanto dopo morti. La corporazione tanto avara in vita quanto è prodiga di affiliazioni postume. In guerra, già lo abbiamo detto, in genere si muore per un frammento visivo di un dramma lontano da offrirvi all’ora di cena.

La Rai, quella che amavo da morire

La Rai in questo campo ha pagato per intero il prezzo di essere «servizio pubblico», di dover arrivare dove altri non c’erano. Spero sia ancora così ma non ho notizie e certezze. Allora, 7 vittime in poco più di dodici mesi, a cavallo tra il 1993 e il 1995. E gran parte di quei morti stavano dietro a quella maledetta lampada di Aladino dei nostri bisogni casarecci di emozioni, quando sono stati colpiti. Nell’ordine di sepoltura, voglio ricordare per primi voi, martiri delle immagini in questo modestissimo «Spoon river» personale.

Voi, gente di frontiera

Ota e D’Angelo, gente di frontiera tra Trieste e le terre slave lacerate dalla guerra. Caro Sacha e caro Dario, insieme a Marco Lucchetta vi siete fatti fregare dalle lacrime dei bambini di Mostar est, avete voluto essere lì tra loro quel pomeriggio in cui i croati sparavano come ossessi, e siete esplosi assieme ad una granata in quel brutto cortile in cui, poi, sono venuto spesso a trovarvi e che adesso diventa troppo lontano. L’altro fratello balcanico, Hrovatin, mi ha salutato a Sarajevo per andare in Somalia a farsi ammazzare, una settimana dopo assieme ad Ilaria Alpi. Caro Miran, erano bellissime le immagini che tu hai girato, prima di quei colpi che vi hanno ucciso.

Tanti nomi dimenticati per questo saluto che non vuol essere un epitaffio. «Tutti, tutti ora dormono, dormono sulla collina» ha scritto Edgar Lee Master nella sua «Antologia di Spoon River»

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Articolo di Ennio Remondino, dalla redazione di

28 Gennaio 2024