EUROPA ED EUROPEI. UN FALLIMENTO

DI TURI COMITO

TURI COMITO

 

Da qualche settimana nella mia città, Palermo, compaiono e scompaiono manifesti propagandistici della Commissione europea che invitano al voto per il Parlamento europeo che si terranno a giugno prossimo. Accade lo stesso in molte altre città italiane ed europee.
I manifesti sono quattro e riportano le frasi che vedete in foto – accompagnate da uno slogan “you are EU” – e che vi riporto qui nel caso non li leggeste bene:
– Libertà, pace, indipendenza energetica
– Democrazia, diversità, protezione del clima
– Stabilità, rispetto, transizione ecologica
– Unità, sicurezza, energie rinnovabili
In questi manifesti ci sono sempre in primo piano giovani e giovanissimi e come sfondo cose che hanno a che vedere con le nuove tecnologie energetiche.
E’ evidente che lo scopo della campagna propagandistica è quello di sollecitare i giovani elettori europei a votare facendo leva su quel sentimento di paura del cambiamento climatico che pare essere essere diffuso molto tra i giovani.
Le parole “politiche” scelte per i manifesti sono, come si vede, libertà, pace, democrazia, diversità, stabilità, rispetto, unità, sicurezza. Poi, in ogni manifesto, altre parole che richiamano la questione climatica.
A meno che nei prossimi mesi non vedremo altri manifesti, non vi è accenno, in questa campagna, a parole e concetti quali solidarietà (intesa come giustizia sociale), riequilibrio e miglior distribuzione della ricchezza, contrasto agli oligopoli e monopoli delle multinazionali, gestione dei flussi migratori. Insomma nulla che abbia a che fare con principi e azioni che pure l’Unione si vanta di perseguire e che riguardano questioni vitali per la stessa Unione, per la sua tenuta politica, sociale, economica.
La stessa parola “pace” è buttata lì tanto per citarla. Poiché è chiaro a tutti, e prima di tutti alla Commissione, che la pace riguarda la politica estera dell’Unione. Che non esiste. Se non in termini di totale appiattimento sulle posizioni britannico-statunitensi. Vedi alla voce guerra russo-ucraina o a quella israelo-palestinese. L’idea che la pace abbia necessità di arbitrati e non solo di armi da inviare non è presente né negli slogan né nei fatti. L’Europa non ha la minima intenzione di diventare, o tentare di diventare, un arbitro dei grandi conflitti internazionali pur avendone le potenzialità.
Tutta la prosopopea sulle nuove tecnologie che dovrebbero contrastare il cambiamento climatico sono, velatamente ma neppure tanto, legate alla questione Russia-Ucraina. La questione del cambiamento non riguarda solo quello climatico, ma soprattutto quello geopolitico ed economico; segnatamente quello che attiene all’approvigionamento energetico che non può più avvenire, come in passato, attraverso le forniture di gas russo a basso costo (“indipendenza energetica”).
Le parole “diversità” e “rispetto” fanno l’occhiolino a quel complesso movimento per taluni diritti civili – che attengono specialmente ad alcune questioni legate al genere e alle inclinazioni sessuali – non ancora pienamente riconosciuti dalle legislazioni dei paesi europei.
Parole come “unità” e “sicurezza” risentono pesantemente dell’idea che solo una Unione compatta politicamente può offrire sicurezza (in senso militare), agli stati e ai cittadini, avverso ipotetiche “aggressioni” esterne (che, come noto provengono dalla Russia, la quale mira ad occupare tutta l’Europa e che considera la presa di Lisbona necessaria per lo “spazio vitale” russo).
Come dicevo, sul contrasto alla povertà e alla concentrazioni di ricchezza in poche mani (https://www.openpolis.it/in-italia-e-in-altri-paesi…/…) non c’è niente da dire.
Sul uno dei più squassanti problemi che l’Europa si troverà ad affrontare nei prossimi anni-decenni (i flussi migratori) altrettanto.
Su come tentare di diventare un arbitro credibile, affidabile, nelle controversie internazionali, neppure.
Su come ridurre, controllare, disarticolare, se necessario, il potere di pressione assurdo che hanno acquisito i grandi colossi finaziario-industriali (dall’industria farmaceutica a quella delle nuove tecnologie ad altissimo contenuto informatico) non vi è parola.
E non potrebbe, a ben pensarci, essere altrimenti.
A Bruxelles, alla Commissione e al Parlamento, sono censiti circa 7000 gruppi di interesse (lobbies). Tutti indaffaratissimi a trovare varchi per orientare gli atti normativi europei in direzioni a loro convenienti. Va da sé che quelli che meglio ottengono risultati sono quelli più ricchi e potenti.
L’economia è il centro, il cuore, attorno al quale è costruito l’imponente edificio europeo la cui perfetta metafora è palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione: una moderna struttura gigantesca che definire un obbrobrio architettonico è usare un eufemismo.
Insomma, la nuova frontiera dell’Unione è sempre quella vecchissima: unire i portafogli per unire i cuori.
Una cosa che non funziona, visto che – lo abbiamo di nuovo sperimentato con il recente rinnovato Patto di stabilità (https://lavoce.info/…/nasce-il-nuovo-patto-di…/) – ogni paese cerca di massimizzare per sé ogni centesimo del bilancio e dei fondi europei.
In Italia – come in altri paesi – il dibattito sulle elezioni ruota attorno a come affrontarle al solo fine di misurare i risultati in ottica di politica interna. In altre parole usare le elezioni europee come “supersondaggio” per capire se la Presidentessa del consiglio gode ancora di grande popolarità o meno.
L’Unione europea incide nella vita di ciascuno più di quanto chiunque, perfino tra gli addetti ai lavori, immagina. Metà (ma per alcuni anche tre quarti) delle legislazioni dei paesi sono di diretta provenienza brussellese.
Ma facciamo finta di non accorgercene.
Questo “corpo” europeo che non è uno stato, non è una federazione, non è una confederazione, non è una area di libero scambio ma è di tutto un poco continua ad essere estraneo alla coscienza politica di gran parte degli europei malgrado il suo essere ingombrantissimo, pesante, invasivo.
Quelle parole nei manifesti, accuratamente scelte dai professionisti della pubblicità e della propaganda politica, esprimono – contrariamente agli obiettivi – tutto il disagio, tutte le contraddizioni, tutte le debolezze di questa costruzione che si pretende aperta, democratica, permeabile alle esigenze dei cittadini e che invece è chiusa, oligarchica, permeabilissima a potenze straniere (statuali ed economico-finanziarie) e perfino inefficiente in quello che dovrebbe essere uno dei suoi obiettivi naturali, la cosiddetta “coesione” (vedi alla voce “trappole dello sviluppo”, cioè fallimento economico dei Fondi europei che, invece che aumentare lo sviluppo dei meno forti aumentano quello dei più forti come segnalato – paradossalmente? – dalla stessa Commissione europea https://ec.europa.eu/…/8th-report-on-economic-social…).
Non considerate, perché non lo è, questo mio scritto come frutto di una avversione per l’Unione dovuto a simpatie nazionalistiche. Mi fa orrore solo la parola “nazione” figuriamoci le sue declinazioni.
Sono solo quelle che a me paiono constatazioni.
La prima delle quali è la scomparsa, dal linguaggio europeo, di parole di sinistra quali giustizia sociale.
Ma non è colpa dell’Unione se è diventata quello che è.
Se dobbiamo trovare una qualche colpa va cercata nei suoi cittadini. Talmente ormai ossessionati dall’individualismo consumista che hanno cancellato dai propri paesi ogni forza politica socialista in grado di produrre effetti riequilibratorii, ogni anelito verso la giustizia sociale, sostituendolo con nazionalismi gretti e fascistoidi.
Dall’Unione c’è, per chi ancora come me crede nei principi della giustizia sociale, della pace non come “sicurezza” ma come cooperazione, poco da aspettarsi di buono.
Perché pochissimo di buono mi aspetto dai suoi cittadini. Sono gli uomini che creano, modellano, formano le istituzioni. Non il contrario.
Siamo davanti un fallimento, prenderne coscienza è il minimo che si possa fare.
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