TG 3 INFORMAZIONE DA “CORTILE”

DI TURI COMITO

TURI COMITO

 

Ho visto poco fa, dopo parecchi mesi, un tg. Il tg3 del pomeriggio.
Mi ero quasi dimenticato della idiozia colla quale sono confezionati questo genere di spettacoli.
I primi dieci minuti abbondanti (più di un terzo della durata) sono stati dedicati ad episodi di cronaca.
Il primo è stato quello relativo all’incendio di un ospedale a Roma.
Il secondo l’omicidio di una donna da parte del marito in Liguria.
Il terzo era dedicato agli strascichi del femminicidio Cecchettin (la visita al cimitero dove è sepolta la ragazza da parte di alcuni compaesani).
Cosa avevano in comune i tre “servizi” giornalistici?
Lo stile narrativo da un lato e la raccolta di “testimonianze” dall’altro. Ormai lo standard dell’avanspettacolo chiamato tg.
Lo stile di presentazione, in generale come in questi casi in particolare, è quello dell’emergenza: sincopato, con voci narranti fintamente emozionate tendenti al catastrofico, piene di dettagli nel 99% dei casi insignificanti (tipo il colore del camice degli infermieri nel primo caso o la piccolezza del cimitero nel terzo), con sullo sfondo due domande che aleggiano e che alla fine si insinuano nella testa di chi ascolta fino a diventare palesi. Ossia le domande delle domande: come è potuto succedere questo? E se fosse capitato a me?
La seconda cosa, la raccolta di testimonianze, ha lati comici tendenti al grottesco.
Non potendo intervistare i protagonisti diretti delle vicende (o perché morti o perché in galera o perché latitanti o perché, in ogni caso, è impossibile farlo) si ripiega su parenti, amici, curiosi che affollano i luoghi dell’episodio, passanti capitati lì per caso.
Il tenore e lo stile delle domande fatte a queste persone, incredibilmente sempre pronte davanti un microfono e una telecamera, è sempre quello: inquisitorio e rapidissimo che esige risposte secche e altrettanto veloci (a pena di essere mutilate al montaggio). Senza empatia. Standardizzate. Tragicamente inopportune.
Sono domande del tipo: “che si prova ad avere la famiglia sterminata in un incidente stradale ed essere l’unico sopravvissuto?”. “Lei che ha visto crollare, in questo terremoto, tutta la sua città ha avuto paura?”. “Può raccontare ai nostri telespettatori come mai si trovava dentro il supermercato coi sacchetti pieni in mano quando c’è stata la rapina?”.
E via di questo passo.
Ovvio che si rida amaramente davanti a questi resoconti. Sono nulla di più che la versione televisiva dei cortili delle comari e dei saloni da barbiere di paese di una volta. Luoghi dove si raccontava di tutto ingigantendo o rimpicciolendo dettagli ai soli fini della narrazione in sé e per sé, del piacere di essere ascoltati da qualcuno che commentava con la faccia o con le parole e di innescare tanto focose quanto inutilissime discussioni.
Non è il villaggio globale la tv (e pure gli altri media in generale).
È il cortile globale.
Un posto dove vai non per sapere o per capire ma per rompere la monotonia di giornate noiose con le farneticazioni di giovani rampanti “giornalisti” che si credono cronisti e che altro non sono che la versione, scadente e puerile perdippiú, dei partecipanti ai cortili e alle chiacchiere da barbiere.