PENTITO? NON DIREI

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

«Sono affranto, dispiaciuto per la tragedia che ho causato. Non voglio sottrarmi alle mie responsabilità, voglio pagare quello che sarà giusto. Sto cercando di ricostruire nella mia memoria le emozioni e quello che è scattato in me quella sera. Fin da subito era mia intenzione consegnarmi. Ora sono molto stanco e non mi sento di aggiungere altro». Buonanotte.

Sono le dichiarazioni spontanee rese da Filippo Turetta alla gip di Venezia, che probabilmente non si è mai illusa di poterlo interrogare. Lui ha optato per le dichiarazioni spontanee, scelta di chi non vuole rischiare di compromettersi. Scorgere in quelle parole l’ombra di un pentimento sarebbe un chiaro segno di ingenuità o di mala fede.

Il pentimento non si dimostra semplicemente dichiarando di essere affranti e dispiaciuti. Il pentimento implica la piena volontà di autocondannarsi. Un sentimento che mal si concilia con una fuga all’estero in macchina, interrotta dal serbatoio secco, il portafoglio vuoto e l’intervento della polizia. Non vi è alcuna traccia di una intenzione di consegnarsi, diversamente da quanto dichiarato.

Poi, il desiderio di pagare «quello che sarà giusto» e non per quello che si è commesso, tradisce un intento di limitare la pena. Che è comprensibile, per carità, ma che con il pentimento genuino c’entra come il cavolo a merenda.

Mentre la promessa di voler «ricostruire nella mia memoria le emozioni e quello che è scattato in me quella sera» completa il freddo quadro. Come dicono a Napoli, ccà nisciun è fess. Fingere di non ricordare la mostruosità commessa è un maldestro tentativo di dissimulare la premeditazione, i cui segni un assassino li lascia sempre. Magari strizzando un occhio all’infermità mentale.

Negare l’evidenza, ossia il femminicidio, sarebbe fin troppo patetico. Dunque, perché rinunciare alla speranza di evitare l’ergastolo, pressoché scontato nei casi di premeditazione, usufruendo del rito abbreviato insieme al relativo sconto di pena.

Se poi questo sedicente smemorato di Collegno è più furbo di quanto sembri, dirà che da tempo avvertiva una opprimente cappa, che razionalmente potrebbe ricondursi soltanto al patriarcato, di cui questa società è permeata. Con una evidente complicità delle istituzioni, fino a rendergli giustizia derubricando il reato in omicidio di Stato. E di sponde, a quanto pare, ne troverebbe.