LA TRAGEDIA DI GAZA ESPLODE IN CASA STATUNITENSE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Gaza ha messo a nudo i limiti di una politica estera americana fragile, zigzagante e, incapace di interpretare quel ruolo di ‘unipolarità’ che si era autoassegnato. Il Medio Oriente le è scoppiato in mano cinque giorni dopo che il Consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, aveva vantato che in Medio Oriente gli Stati Uniti erano riusciti a portare pace e stabilità come non mai. 

Inciampo intelligenza senza inglese

“Si è fatto molto clamore sul fallimento dei servizi segreti israeliani, che non hanno saputo cogliere le avvisaglie dell’attacco di Hamas. Pochi si sono chiesti quanto sia mancato anche il supporto della poderosa Intelligence americana. Ma quello che colpisce gli osservatori politici più attenti è il fatto che, nonostante il totale appoggio di Biden, Israele sembra non condividere nessuna strategia di lungo periodo con l’alleato. Gli Usa sostengono la guerra di Netanyahu senza conoscere i piani (se ce ne sono) di sistemazione della regione?”

Terza catastrofe, dopo Irak e Afghanistan?

Qualcuno ha pensato di rivolgere questa domanda a un ‘superesperto’. Il quotidiano israeliano Haaretz è andato a cercare il generale in pensione David Petraeus, comandante in capo delle forze della coalizione in Afghanistan e in Irak e successivamente, direttore della CIA. Vicende militari non certo gloriose per gli Stati Uniti, ma proprio per questo ammonitrici utili. (Questione e margine, Patreus è ora presidente dalla KKR Global Institute Usa che ha comprato la rete telefonica fissa della Tim). Dubbio finale del generale come quelli civili dell’analisi politica: «Cosa succederà dopo la guerra?». Questo vuoto strategico sta creando molta inquietudine a Washington e nelle capitali più avvertite del mondo occidentale. Perché l’irritazione nell’Amministrazione Biden cresce ed è direttamente proporzionale alla quantità di bombe scaricate su Gaza e al numero delle vittime civili palestinesi, che si moltiplicano ogni giorno che passa.

“Mentre i toni del Segretario di Stato Blinken in tour mediorientale sono meno esortativi e più perentori, sulle ‘pause umanitarie’ a ridurre almeno un po’ la mattanza”.

Troppi palestinesi uccisi, troppo Netanyahu

Ieri il New York Times ha colto il cambiamento di umore del diplomatico, che ha tenuto un breve incontro con i giornalisti a New Delhi, dove ha fatto tappa nel corso del suo attuale tour in Asia. «Troppi palestinesi sono stati uccisi. Troppi hanno sofferto nelle ultime settimane. Noi vogliamo fare tutto il possibile per prevenire loro danni e massimizzare l’assistenza che gli arriva». Non un cessate il fuoco che favorirebbe quanto resta di Hamas, ma pause umanitarie reali e mira migliore. Un cambiamento netto anche nel linguaggio della comunicazione, rispetto ad alcune settimane fa.

Il troppo di Israele e il mondo contro

Cosa sta succedendo a Washington? Si sta sviluppando una sorta di ‘onda di ritorno’ per la gestione della crisi. Senza mettere in discussione l’appoggio a Israele, in casa Usa ci sono chiari segnali di insoddisfazione verso Netanyahu e, in generale verso la conduzione delle operazioni militari di Tel Aviv. Se nel caso dell’Ucraina era stato più facile coalizzare l’opinione pubblica mondiale (almeno nelle prime fasi della guerra), con la crisi di Gaza tutto è più difficile. Ferma restando la condanna per ciò che ha fatto Hamas, resta il fatto che in molti giudicano la reazione israeliana sproporzionata e vessatoria. Molto al di là delle conclamate esigenze di ‘sicurezza nazionale’. E, a quanto pare, questo, nelle segrete stanze, comincia a essere anche il giudizio inconfessabile della Casa Bianca.

“D’altro canto, basta leggere i grandi giornali americani, per capire che l’opinione pubblica è frastornata e comincia a essere toccata dai video che mostrano le rovine fumanti di Gaza”.

Presidenziali e “grand strategy” in politica estera

Il problema per Biden è duplice: le Presidenziali, che di questo passo si accinge a perdere, e la definizione di una nuova ‘grand strategy’ in politica estera, perché quella vecchia non funziona più. Le ‘velleità unipolari’ dell’America, che si tira appresso l’Occidente, stanno creando un muro divisorio col resto del pianeta. In questo momento, se Biden dovesse passare dalle parole ai fatti, potrebbe essere costretto a fare tre guerre assieme: una in Est Europa, una in Medio Oriente e l’altra nell’Indo-Pacifico. Ma gli Stati Uniti non hanno una quantità infinita di risorse e, facendo male i calcoli, hanno già messo in crisi l’Ucraina, che non possono più rifornire come vorrebbero.

“Non è solo questione di soldi, ma di apparati produttivi. Dovrebbero riconvertire diversi settori industriali, spostandoli verso il comparto bellico, con contratti assicurati di lungo periodo. Garantire una domanda continua di prodotti: obici, bombe, carri armati, aerei. Valutate voi cosa questo vorrebbe dire nel futuro delle inevitabili tensioni internazionali”.

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

11 Novembre 2023