I DINOSAURI DEL MOTORE A SCOPPIO

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Tra le domande introspettive che puntualmente mi pongo per verificare la coerenza delle mie idee e dei miei comportamenti ce n’è una a cui non riesco a dare una risposta convincente:
“Come mai il mio impeto ambientalista quando si tratta di automobili e motociclette oscilla sempre tra il tiepido e lo scettico?”
Non è da me, cavolo.
Io che amo immensamente la natura, che inorridisco per i rifiuti abbandonati, che darei l’anima per salvare tutti gli orsi e i lupi del pianeta, che ho vissuto in alcune delle città più inquinate del mondo, perché ogni provvedimento e movimento che insidia le quattro e due ruote non riesce mai a convincermi fino in fondo?
Certamente pago il prezzo dell’amore per i motori a scoppio che ha caratterizzato la mia generazione, una meravigliosa invenzione che ci ha regalato la libertà, le emozioni e la cultura nate dalla possibilità di muoversi a piacimento anche su distanze lunghissime. A questo si aggiunge una vita professionale imperniata sull’analisi dei numeri, e quelli che indicano la mobilità privata come nemico pubblico numero uno sono davvero poco convincenti. Se a questo vado a sommare la giusta dose di scetticismo che mi provoca il perenne scandalismo dei media e la sospetta campagna commerciale in favore del motore elettrico, un aggeggio trapiantato dalle lavatrici che ha appena superato la fase sperimentale e i cui sviluppi in termini di infrastrutture e riciclo sono tutt’altro che chiariti, ecco spiegato il mio atteggiamento da dinosauro.
Dinosauro sì, ma poco incline a inghiottire tutto ciò che mi viene messo davanti.