IL TESTACODA

DI ORSO GRIGIO

REDAZIONE

 

Leggo tutti i vostri interventi, lo sapete. E’ il minimo che vi devo, per l’attenzione e la stima che mi dimostrate e che spero di meritare.
Al netto di qualche provocatore, dei soliti cretini e di chi usa la mia pagina per catturare prede a cui spillare dati sensibili (li banno appena li vedo, ma ho una vita anch’io e qualcuno ci rimane un po’ di più) molti di quei commenti sono stimolanti, anche quando esprimono idee diverse dalle mie.
Ne faccio tesoro, io non sono certo il Vangelo.
Quei commenti sono anche la prova che questa piccola isola di appartenenza, se ha fatto bene a me, salvandomi dall’implodere di dolore e rabbia, in qualche modo ha fatto bene anche a voi, e allora del tutto inutile non è stata.
In un post di qualche giorno fa, “Il muro e il fossile”, e arrivo all’argomento di quello di oggi, mi è stato chiesto se faremo in tempo a vedere il cambiamento.
Domandina facile facile, ma tenterò una risposta.
La mia generazione ci è arrivata vicino a cambiare le cose, ma proprio all’ultima curva, quella che si sarebbe aperta su un mondo migliore di questo, siamo andati in testacoda. Un po’ per colpa nostra, già pronti a venderci ad una morte un po’ peggiore, come dice un poeta che amo, e un po’ per colpa della strada, resa viscida da un potere che non poteva permettere che quella corsa la vincessimo noi, e se non fosse bastato cospargerla di olio per renderla scivolosa l’aveva anche riempita di cadaveri prima ammazzati e poi messi lì di traverso.
E contro un potere come quello, che non si faceva scrupolo di usare la vita delle persone pur di riaffermare se stesso, non avremmo potuto niente.
Quel testa coda ci ha distrutto.
E’ come se in quella giravolta gli stessi ideali che fino al giorno prima sembravano incrollabili fossero schizzati fuori dalla macchina come bagagli fissati male e poi finiti a sfracellarsi chissà dove. Raccattare quei cocci e riprendere quel viaggio con la stessa speranza sarebbe stato impossibile.
Certe occasioni si hanno una sola volta nella vita. Come per l’amore.
Qualcuno di noi però ha continuato a crederci, è ripartito lo stesso, perché quella era la sola scelta possibile e non potevamo accettarne un’altra, né una morte diversa. Quegli ideali ce l’avevamo addosso, nell’anima nel cuore e nel sangue, e non ci avremmo rinunciato mai.
Così l’abbiamo ripreso, quel viaggio, ma a fatica, arrancando, con la macchina a pezzi; i nostri sogni erano ancora lì, ma eravamo rimasti soli, abbandonati da chi fingeva rispetto per quei valori ma era mosso solo dal peggiore degli egoismi, e non averlo capito in tempo forse è stato il nostro errore più grosso.
Erano ancora lì, quei dannati ideali, ma ci sfuggivano dalle mani.
Dopo essersi quasi materializzati adesso erano di nuovo nuvole, impalpabili, inafferrabili.
Poi ci hanno abbandonato anche i partiti, in cerca di nuovi lidi più moderni e confortevoli, fatti di banche, mercati, e Confindustria, di certo più remunerativi che star dietro alle lagne degli ultimi e di chi non ce la fa.
Soli, ma c’era ancora una dignità da salvare, c’era il rispetto e la coerenza verso quegli ideali ai quali non avremmo mai rinunciato, convinti come eravamo e siamo che non si possa vivere felici se non possono esserlo anche gli altri, e c’era l’orgoglio di arrivare al traguardo: barcollanti, sconfitti, ma ancora vivi, cazzo!
Io adesso ci sono quasi, è in fondo al rettifilo, e lo taglierò così, ancora in piedi, con tutti i miei frammenti di nuvole attorno, ma quel cambiamento non lo vedrò, non farò in tempo.
E non lo vedranno nemmeno molti di quelli che arriveranno dopo di me.
Il mondo va sempre più a puttane, i soli linguaggi conosciuti sembrano essere il denaro e la guerra, altro che l’esperanto; c’è una manciata di uomini che possiede da sola, e sempre di più, più di tutti gli altri miliardi di persone messi insieme; l’uomo più potente del mondo verrà ancora scelto fra una specie di psicopatico e un vecchio un po’ stordito che a noi, schiavi di un sistema dove non contiamo niente, continuano a spacciare per quello buono e giusto.
Le vittime continuano a votare i loro carnefici, come in quel famoso detto dove gli alberi votano l’ascia certi che non potrà abbatterli perché è fatta di legno come loro, e gli inutili ignavi restano a casa convinti di cambiare le cose dal divano.
La politica, da noi e dappertutto, continuerà, come ha sempre fatto ma mai come adesso, a curare i propri privilegi e quelli delle classi che la alimentano per trarne a loro volta beneficio, sbattendosene le palle dei bisogni veri delle persone.
Come in un effetto valanga terrificante, i mali del mondo si alimentano di sé stessi per poi travolgere tutto nella loro opera di distruzione.
Quello che spero è in un grosso Big Bang, nel pensiero che improvvisamente si accende e prende coscienza che alla fine i padroni del nostro destino siamo solo noi, e se c’è da mettersi in gioco bisogna trovare il coraggio e la forza di farlo.
Con i partiti o senza.
La nostra vita merita di più della nostra assenza.
E allora spero anche che, come ce l’ha avuta la mia generazione, quella possibilità di cambiare, sia data anche ai ragazzi di oggi, o a quelli di domani, e che se la giochino meglio di noi.
Ma se continueranno a passare più tempo cercandosi dentro il display di un maledetto telefonino che a guardare il mondo che li circonda, le persone, le piante, l’acqua che scorre, quell’occasione non ce l’avranno mai.
Io non lo vedrò, quel cambiamento, ma questa certezza non potrà mai essere un motivo per smettere di crederci.