PONTE DI KERCH: UNA FOLLIA CONSIDERARLO OBIETTIVO LEGITTIMO

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

PONTE DI KERCH: UNA FOLLIA CONSIDERARLO OBIETTIVO LEGITTIMO

Se c’è una cosa che emerge con disarmante chiarezza dalle Convenzioni di Ginevra che compongono il diritto bellico, è che in qualsiasi guerra i civili sono sacri. E, insieme ad essi, i beni civili. Tutto ciò che non abbia un carattere o una funzione strettamente militare, non può essere attaccato, perché si sostanzierebbe sempre in un danno ai civili, che da una guerra vanno tenuti fuori senza se e senza ma.

Invece, da più parti si leggono e ascoltano tentativi, privi di qualsiasi logica, di ribaltare il concetto, arrivando così ad attribuire natura strettamente militare a beni civili per antonomasia. Si attribuisce in tal modo legittimità all’ultimo attacco al ponte di Kerch, una imponente struttura costruita per collegare la Russia alla Crimea, annessa dal Cremlino nel 2014 dopo i fatti di Maidan.

Una follia.

La spiegazione la fornisce l’art. 52 del Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, adottato l’8 giugno 1977. La norma incomincia dettando un principio generale: «Gli attacchi saranno limitati strettamente agli obiettivi militari». Si badi bene: «strettamente». È il caso delle caserme operative, dei depositi di munizioni o di armi, dei veicoli militari, delle centrali elettriche che forniscono energia a basi militari. La norma finisce dicendo: «Gli attacchi non saranno diretti alla popolazione civile o a oggetti civili».

Nel mezzo, vi è una elencazione, in via esemplificativa, di beni che non hanno proprio nulla di militare, ma che nelle guerre vengono sovente utilizzati a fini militari stravolgendone completamente la originaria funzione civile: luoghi di culto, case, edifici in generale, tra i quali possono anche rientrare le scuole. Accade, infatti, che un esercito dislochi all’interno di essi soldati o armi offensive proprio facendosi scudo della loro natura civile, illudendosi così di dissuadere il nemico dal bombardarle.

L’art. 52 considera tali beni, quando la loro originaria funzione civile viene completamente stravolta in occasione di una guerra, legittimi obiettivi militari. Ma è proprio a causa dello stravolgimento della loro originaria funzione (da civile a militare) che diventano obiettivi legittimi. Nei luoghi di culto e nelle scuole utilizzati a fini militari non si prega, né si fa lezione, ma si fa la guerra.

E il ponte di Kerch, che è certamente un bene civile, non ha mai subìto un tale stravolgimento di funzione. Si potrebbe sostenere il contrario solo se le autorità russe lo avessero dichiarato zona militare, interdicendo ovviamente il transito ai civili. Ma se si considera che l’attacco a quel ponte si è risolto nella uccisione di due coniugi e nel ferimento della loro figlia minore, che a quest’ora avrà già realizzato di essere orfana, certamente quel ponte non ha subìto alcun stravolgimento di funzione. E non si riesce a capire come alcuni possano considerarlo obiettivo legittimo.

Costoro sostengono che per il solo fatto che il ponte di Kerch sia utilizzato, anche se occasionalmente, per il transito di materiale bellico, ne fa un obiettivo legittimo. Un’interpretazione che cancella l’art. 52 del Protocollo Aggiuntivo.

Non arrivano, costoro, a capire che l’art. 52 detta una disciplina che considera eccezionale l’ipotesi che un bene civile possa essere ritenuto obiettivo legittimo: ossia soltanto quando ne viene stravolta la natura. Per il resto, ciò che è civile rimane civile, dunque inattaccabile.

Quindi, ben potranno gli ucraini colpire una colonna di carri armati che transita per il ponte di Kerch, perché si tratta di per sé di obiettivi legittimi, in quanto beni con funzione strettamente militare.

Mai, però, potrebbero bombardare il ponte solo per danneggiarlo, o lanciare un siluro che lo faccia crollare. E se nell’episodio perdono la vita alcuni civili, come purtroppo è accaduto, va considerato un crimine di guerra.

Una considerazione a parte va fatta su coloro (e ce ne sono tanti), dotati di una buona conoscenza delle questioni militari, che senza però avere la benché minima preparazione giuridica, si avventurano in interpretazioni del diritto bellico assolutamente guerrafondaie, sfoderando una capacità di analisi da prefisso telefonico (non è colpa loro, ma la norma giuridica si analizza soltanto dopo seri studi) e finendo per incitare le parti contendenti a sfogarsi sugli obiettivi civili.

Risultato: l’art. 52 non esiste. Alla fine rimane un’assoluta discrezionalità degli eserciti nella scelta degli obiettivi da colpire.

Sono come quelli che pretendono di aver ragione quando parlano di tennis con un giocatore professionista, pur non avendo mai impugnato una racchetta.