LA SCELTA DI ALFREDO COSPITO

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Io gli auguro di non morire. Ma la sua scelta estrema confligge con l’intransigenza mostrata dal Governo di non cedere a quello che, sostanzialmente, appare un ricatto.
Cospito può rimproverare alla Giustizia di non essere stata molto chiara con lui. Prima gli imputano di aver tentato una strage collocando notte tempo due ordigni all’esterno di una scuola Carabinieri. Reato di pericolo, che ti punisce anche se non scalfisci la pelle di nessuno, ma non con l’ergastolo. Infatti Cospito è stato condannato a 20 anni.
Ma ora quell’episodio vogliono ricondurlo all’art. 285 del codice penale, che punisce chi, come Cospito, fa scoppiare una bomba in un luogo pubblico senza nemmeno ferire, ma «allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato». Questo reato sì che prevede l’ergastolo.
Su come un simile episodio, nella mente di Cospito, potesse pregiudicare la sicurezza dello Stato, ci sarebbe da discutere. Sta di fatto che Cospito, per ordine della Cartabia, ministro della Giustizia del Governo Draghi, è dal maggio scorso detenuto in regime di 41-bis. E, in pratica, sta morendo, come accadrebbe a chiunque non mangia da 105 giorni.
Qualcuno lo vorrebbe aiutare. Ma come lo aiuti uno deciso a morire di fame, se non con l’alimentazione forzata? Ma sarebbe una soluzione impraticabile, perché Cospito non fornirebbe mai il consenso. Cospito è nella stessa posizione di chi può legittimamente rifiutare un intervento chirurgico che gli salverebbe la vita. L’unico modo per impedire che Cospito si lasci morire sarebbe l’abrogazione generalizzata del 41-bis.
Perché è ciò che lui chiede. Non chiede di togliere la specifica misura che lo affligge, ma quelle applicate a tutti, anche ai mafiosi. Secondo Cospito, terroristi e mafiosi devono essere equiparati in toto agli altri detenuti, proprio attraverso la cancellazione dell’art. 41-bis. Non importa se un boss, anche dal carcere, possa dare ordini ripercorrendo la struttura gerarchica come quando è in libertà.
Il regime carcerario previsto dal 41-bis è qualcosa di terrificante. Camera singola, che non supera gli otto metri quadri di superficie. Due ore d’aria al giorno, ma da solo, salvo i rari momenti di socialità con un «collega». Ci si scorda dei concetti di folla e di assembramento. Il tutto in una struttura dove le guardie penitenziarie non possono avere contatti con colleghi di un’area diversa. Anche le guardie carcerarie finiscono per essere sottoposte, a modo loro, al 41-bis.
Una telefonata di dieci minuti al mese, ovviamente registrata, che però, quando richiesta, annulla l’ora mensile di colloquio, con persone rigorosamente del nucleo familiare. Nessun parente o amico. Il colloquio è a vista, udito e registrato. Le lettere vengono spedite solo dopo essere state lette e accettate dalla direzione. Il detenuto 41-bis non può studiare, né frequentare corsi di formazione.
Un regime carcerario durissimo, che in molti considerano in contrasto con l’art. 27, comma 3°, della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». E ritengono questa estrema misura funzionale non alla rieducazione del detenuto, ma unicamente alla sua collaborazione con lo Stato, attraverso l’annullamento della persona. Una forma di tortura. Così si sono espressi Amnesty International e un giudice di Los Angeles, che proprio assimilando il regime carcerario del 41-bis alla tortura, ha negato nel 2007 l’estradizione in Italia del boss mafioso Rosario Gambino.
La Corte Costituzionale ha più volte salvato il 41-bis, considerandola misura necessaria per impedire ai boss di continuare a gestire il proprio potere dal carcere, quindi a salvaguardia dell’ordine pubblico. Solo con il 41-bis si taglia la testa alla catena di comando, isolando i capi.
Come può Cospito credere che questo Governo sia disposto ad una disapplicazione generale del 41-bis, è davvero un mistero. Ma Cospito non è stupido. Bisogna dunque chiedersi perché lo sta facendo. E insieme a chi.