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DI SALVATORE GRANATA

 

In Italia il giornalismo (nell’accezione più nobile del termine) non esiste (per libertà di stampa siamo al 58esimo posto dietro il Suriname, con tutto il rispetto per il Suriname.  Se non per pochissimi professionisti indipendenti, obiettivi o che, al massimo, stando da una parte oggettivamente giusta, quando vanno in tv a fare gli opinionisti combattono anche loro il sistema da semplici cittadini (nonostante abbiano più visibilità in quanto personaggi pubblici e in quanto “dipendenti dell’informazione”).
Uno dei tanti esempi è quello che è capitato a Giletti, licenziato da Cairo, dove la maggior parte dei giornalisti, si fa per dire, si sono stracciati le vesti per la chiusura del suo talk show, ma che non hanno mai detto mezza parola su Julian Assange.
Anch’io che non ho mai guardato una sola puntata del programma di Giletti, penso che non sia giusto chiudere una trasmissione senza motivarne le ragioni, così come penso che non sia stato giusto licenziare Stefano Feltri così, su due piedi, benché spesso non mi sia trovato d’accordo con lui.
Insomma non mi sono mai piaciuti i bavagli immotivati e relativi gossip.
Penso soprattutto anche che non sia giusto perseguitare un giornalista per 13 anni, incarcerarlo senza un processo, fargli rischiare duecento anni di galera, fargli perdere la bellezza della vita togliendogli la speranza di vivere serenamente quest’ultima con sua moglie e i suoi piccolini.
E quindi, diversamente da certe “grandi firme”, lo dico. Perché siamo bravi a batterci per battaglie inutili ai fini di cavalcare la “notiziona”, i gossip politici e perdiamo di vista le battaglie più grandi, ovvero quelle per la libertà di poter raccontare i crimini di guerra perpetrati dagli Usa in Iraq e Afghanistan, non quella per la libertà dei signorotti italiani megafoni di regime, che alla fine della fiera si accaseranno altrove.