L’ESECUZIONE SOMMARIA DI DODICI SOLDATI RUSSI

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Se una bella donna come Marija Zacharova viene colta in un’espressione così poco fotogenica, un motivo deve esserci. Era la conferenza stampa in cui ha dato la notizia dell’uccisione di dodici soldati russi catturati a Makivka dall’esercito ucraino, dopo essersi arresi. Fatti sdraiare faccia a terra come fossero vermi, sono stati smitragliati alla nuca.
Chi si arrende lo fa soltanto per salvarsi. Il deporre le armi è una dichiarazione di fiducia nei riguardi del nemico, che cessa di essere tale proprio perché cessa di esserlo chi si arrende. Se chi alza bandiera bianca sapesse che verrebbe giustiziato, venderebbe cara la pelle. E se di conseguenza la resa assicura un vantaggio in termini di salute anche a chi stava prevalendo nel combattimento, uccidere chi si arrende è la peggior forma di tradimento e di vigliaccheria che si possa attuare. Non a caso quanto commesso dai soldati ucraini a Makivka costituisce, secondo la Terza Convenzione di Ginevra, un gravissimo crimine di guerra punibile con l’ergastolo.
L’autore del video, che non vede l’ora di farlo vedere ai propri figli quando saranno grandicelli, lo avrà inviato a parenti e amici, senza pensare, da impareggiabile imbecille, che roba simile fa presto a diventare virale e a finire sotto gli occhi di persone evolute.
Ma quel video non può meravigliare. Cosa ci si può aspettare dai soldati ucraini quando il loro presidente si rivolge pubblicamente ai soldati russi intimandogli di ritirarsi, altrimenti, se catturati, «sarete uccisi uno ad uno»? Se gli Ucraini hanno un presidente così ignorante da non sapere cosa sia la Convenzione di Ginevra, non può nemmeno meravigliare che riservino il medesimo trattamento ai civili presunti collaborazionisti, dopo averli esposti per giorni al pubblico ludibrio legati ai pali col nastro adesivo, macabro sport nazionale ucraino praticato fin dagli inizi della guerra nel Donbass.
Tra l’altro, se si considera che lo scambio di prigionieri è prassi tipica in ogni guerra, sarebbe interessante vedere la faccia dei soldati ucraini prigionieri dei Russi, la cui possibilità di tornare a casa a questo punto si riduce alquanto. In quest’ottica i soldati nemici catturati diventano preziosa merce di scambio. E tra custodirli e ammazzarli corre la stessa differenza che c’è tra investire denaro e bruciarlo.
Un’ultima considerazione va rivolta ai nostri ineffabili mezzi di comunicazione. Ai tempi del massacro di Bucha, i trombettieri del mainstream dedicarono interminabili edizioni straordinarie che ne addossavano la responsabilità ai soldati russi in ritirata, sulla base di quelle inconfutabili prove costituite dalle attendibilissime testimonianze degli stessi soldati ucraini, e nonostante l’esistenza di un video girato dal sindaco in persona, che lo ritraeva raggiante proprio in quelle strade che, a rigor di logica e secondo la narrazione ufficiale, avrebbero dovuto essere cosparse di cadaveri.
Oggi, quelle stesse trombe tacciono. Non in segno di lutto, ma per cinico accorgimento. Se gli ignavi che non si informano, se gli scemi di guerra in tempo di pace sapessero di quella barbara esecuzione sommaria di massa, probabilmente la favoletta dei soldati ucraini duri e puri incomincerebbe a sgretolarsi. Anche se, per la verità, non occorre scavare più di tanto per capire che nella narrazione mainstream c’è qualcosa che non torna.
Perché da un lato abbiamo un esercito, quello russo, a quanto pare impegnato più a scavare fosse comuni che non a combattere. Dall’altro, quello stesso esercito custodisce in centri di detenzione appositamente allestiti migliaia di soldati ucraini catturati in battaglia.
Strano esercito quello russo, nevvero?