OLTRE IL MANTRA “ HA COMINCIATO PUTIN”.

DI GIOACCHINO MUSUMECI

 

Nel clima di negoziati già difficili, Joe Biden è intervenuto con affermazioni lontanissime da intenzioni pacifiche e ha sollevato un muro di ghiaccio tra occidente e Russia. Con l’obbiettivo di punire Putin a tutti i costi, Biden, nella prospettiva del nuovo Afghanistan ai confini Europei, vuole andare avanti fino all’ultimo ucraino disponibile.
Il costo in termini di distruzione è immane ma gli Usa, come si vede, stanno investendo enormi risorse per trasformare l’Ucraina nel futuro alfiere americano in prossimità della Russia.
Mister Zelensky, debitore di capitali sproporzionati rispetto alle capacità economiche del suo paese, fa il giro delle sette chiese per perorare scenograficamente la causa americana, il popolo ucraino sembra più uno strumento nell’ambito di una guerra tra USA e Russia.
Dopo la pandemia e a corto di risorse in vista di conversioni ecologiche Putin, col suo nazionalismo estremo, è un pericolo per la globalizzazione futura. Il conflitto ucraino non per caso è scoppiato immediatamente dopo un disastro economico globale.
Il ritiro americano dall’Afghanistan, pur pianificato ai tempi di Trump, ha garantito agli Usa il tempo di organizzarsi in vista della rottura occidentale, prevista se la politica estera americana in Ucraina non fosse cambiata.
Ma gli Usa hanno contribuito ampiamente a esasperare tensioni culminate con la guerra di Putin, oggi imbarcato contro l’Ucraina sostenuta da tutto l’occidente.
Alla base della guerra di Putin c’è l’idea di opporsi all’avanzata del blocco occidentale interessato a risorse di cui la Russia detiene il monopolio. La UE, debolissima sul fronte energetico e costretta al ritorno del carbone, vanifica gli sforzi tesi ad azzerare le emissioni di CO2 in tempi utili. Una ragione in più per propagandare un conflitto teso a spezzare il potere di Putin.
Ma gli Usa guardano oltre e sfruttano tutte le opportunità: scavano un imbuto che potrebbe impegnare l’Europa in una guerra convenzionale lunghissima e hanno orientato la politica europea verso il riarmo, indirizzo letteralmente folle. Gli Usa indenni da conseguenze dirette, hanno smobilitato così l’industria bellica nazionale acquisendo in Europa un peso ben più importante di quello pre-pandemico.
Resta da capire se la Cina, davanti all’occasione di diventare protagonista assoluta nelle trattative diplomatiche, si consacri definitivamente come superpotenza la cui influenza può cambiare gli equilibri di un conflitto bellico di portata mondiale. Il prezzo chiesto da Pechino per spegnere il conflitto è tutto da stabilire. Questo spiega la fitta attività diplomatica che dagli Usa corre verso la Cina.
Tenendo conto che il complesso militare-industriale statunitense è un settore decisivo dell’economia Usa e centro decisionale per le politiche industriali e per la politica in generale, gli investimenti militari e il sostegno di una guerra rappresentano un opportunità perfetta per aumentare i profitti in modo esponenziale.
Questo solleva dubbi serissimi su quanto gli Usa siano interessati ad agire in funzione della pace.