NON STUPIAMOCI, SIAMO A MIAMI

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Immaginiamo cosa sarebbe accaduto se al posto di Matteo Falcinelli, lo studente italiano arrestato e maltrattato dalla polizia di Miami, ci fosse stata Ilaria Salis. E se il teatro della violenza non fosse Miami ma Budapest, in particolare una cella del carcere di Gyorskocsi Utca, dove la maestra italiana si trova in custodia cautelare da più di un anno.

Il finimondo. Giustamente, aggiungo io. Perché ciò che è successo a Matteo Falcinelli è ben più grave di quanto accaduto a Ilaria Salis. Almeno per noi.

Ilaria è stata arrestata a Budapest per aver partecipato al violento pestaggio di un simpatizzante neonazista, in compagnia di un gruppo anarchico berlinese che si fa chiamare «Hummerbande», la banda del martello, bollato dalla magistratura tedesca come associazione per delinquere. Al processo viene portata in catene, più o meno come fa la polizia penitenziaria in Italia con chiunque si trovi in stato di custodia cautelare e debba essere processato.

Matteo, invece, trascorre una serata un po’ sopra le righe in un locale notturno di Miami Nord, una delle zone più pericolose della città, dove gli omicidi sono il doppio della media nazionale e le aggressioni a scopo di rapina il triplo. Non è chiaro cosa sia successo all’interno di quel locale. Si sa che a un certo punto un addetto alla sicurezza invita Matteo ad andare a divertirsi altrove. Mentre fuori ci sono già nove agenti della polizia di Miami che lo stanno aspettando.

La bodycam registra tutto. Matteo non appare nelle stesse condizioni di quando studia, questo è naturale. Ma non è aggressivo. Sta soltanto chiedendo la restituzione dei due cellulari che ha dimenticato nel locale.

I poliziotti non gli credono. Lo invitano più volte ad allontanarsi, perché per loro la questione sarebbe finita lì. Ma Matteo insiste. Dopotutto, sta reclamando un diritto che in effetti ha.

Forse nell’ingenuo tentativo di blandirlo, chiede con fare amichevole a un poliziotto come si chiama e, nel contempo, sfiora con un dito la targhetta identificativa cucita sulla divisa. In Italia, a volte, puoi anche arrivare a parlare e scherzare con i poliziotti che ti fermano, se non l’hai fatta grossa. Negli USA, è una cosa impensabile.

Infatti, la reazione è violentissima. Tutti gli agenti gli si avventano contro, lo atterrano e lo portano in una stazione di polizia. Lì scoppia una sorta di colluttazione, anche se appare palese che Matteo non ha la minima intenzione di reagire.

Alla fine lo lasciano seminudo sul pavimento, con visibili echimosi sul volto. E con i polsi e le caviglie serrate per 13 minuti. Un comportamento che, per noi, rientrerebbe nel concetto di tortura.

La polizia di Miami ha annunciato un’inchiesta interna. Ma non troverà nulla di irregolare. Gli hanno affibiato il «battery on a law enforcement officer», una forma aggravata di resistenza a pubblico ufficiale, che legittima quel trattamento.

Del resto, siamo a Miami. La Florida è lo Stato in cui è nata la dottrina dello «stand your ground», che consente l’uccisione di un presunto aggressore sulla base della mera percezione di un pericolo per la propria persona. Una dottrina che la fa da padrona non soltanto nei tribunali della Florida, ma un po’ in tutti quelli degli USA, e con particolare riferimento ai comportamenti della polizia. In qualsiasi modo possa essere stato interpretato il gesto di Matteo verso il poliziotto, quel contatto, per quella orribile dottrina, ha giustificato quella reazione.