PER VIVERE BENE IL 25 APRILE BISOGNA RICORDARNE BENE IL SIGNIFICATO

DI SALVATORE GRANATA

 

È sempre bene ricordare, almeno una volta l’anno, chi siamo. E per sapere chi siamo, dobbiamo conoscere un minimo di storia, per goderci in santa pace una festa ben precisa, quella del 25 aprile, rendere onore a questo avvenimento, che non significa soltanto un giorno di ferie.
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Intanto, la Festa della Liberazione, è una delle poche ricorrenze laiche del nostro calendario, e mi dispiace per destrorsi e democristiani, ma non sembra ancora destinata, almeno nell’immediato futuro, a evaporare nell’indifferenza e nella normalizzazione da parte dei vari governi transitori, soprattutto quelli di destra.
In tanti, nel dopoguerra immediato, avevano auspicato, in direzione di una completa pacificazione nazionale, che quest’utima nel tempo si sarebbe consolidata, rafforzata e che si sarebbe chiusa definitivamente l’eredità di quella che fu anche una guerra civile. Quando il popolo fu spaccato in due da benito e compari.
È vergognoso come ancora nel 2024, si debbano spiegare determinate cose, che per alcuni appaiono scontate, sul 25 aprile.
In tv, sui social e sui giornali la Festa della Liberazione è uno dei temi di confronto culturale e politico tra i più dibattuti. E soprattutto è un tema che viene spesso umiliato.
Perciò per me non è e non sarà mai esercizio sterile ritornare ai modi per cui questa celebre data ha assunto il suo ruolo.
Dunque.
Il 25 aprile come festa nazionale fu celebrato fin dal 1946, per un’iniziativa dell’allora presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi, ratificata con un decreto dal principe e luogotenente d’Italia Umberto II di Savoia, che sanciva al tempo stesso la soppressione di festività legate al regime fascista come l’anniversario della marcia su Roma (28 ottobre) e la fondazione dell’impero (9 maggio).
L’iniziativa di celebrare il 25 aprile fu reiterata sia nel 1947 sia nel 1948, ma soltanto dal 1949 la Festa della Liberazione è diventata una ricorrenza stabile.
La scelta della data non era affatto scontata: in effetti, la fine delle ostilità in Italia e quindi la totale liberazione del territorio nazionale, sono arrivate il 3 maggio 1945. Si preferì invece orientarsi verso il giorno in cui il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) chiamò il popolo italiano all’insurrezione nei territori ancora occupati dai tedeschi e al tempo stesso si affermò come un’unica autorità nazionale legittima.
Scegliere il 25 aprile significa quindi celebrare non soltanto la fine della guerra e dell’oppressione nazifascista, ma anche riconoscere il valore e l’importanza del MOVIMENTO PARTIGIANO.
La differenza non è da poco: un conto è auspicare la fine della guerra e il ritorno alla normalità, un altro è aderire ai valori e all’iniziativa della RESISTENZA. In questo senso, l’istituzionalizzazione del 25 aprile, la sua accettazione da parte di tutti gli italiani, si è presentata più ardua rispetto ad altre memorie civili. Anche perché, con grande rammarico, oggi siamo diventati un popolo di analfabeti funzionali.
Il 25 aprile è una festa che unisce, o almeno prova unire, un popolo intorno a determinati valori. Ma è anche una festa contro. Contro il fascismo, la dittatura, la guerra: questo non si può cancellare. Soprattutto, e lo ripeto, non si può dimenticare che il fascismo è anche un pezzo della storia nazionale da cui siamo emersi attraverso una guerra civile.
È una tragica pagina della nostra storia.
Inoltre, la Resistenza è stato un immenso movimento di popolo, che attraverso la guerra partigiana ma anche scioperi, manifestazioni, disobbedienza civile, momenti di solidarietà, ha provato a costruire il proprio futuro e quello dei suoi figli.
Oggi, i valori della Resistenza sono ampiamente condivisi, ma forse in modo minore di quanto comunemente si creda, si percepisca, anche in contesti sicuramente esenti da aperte forme di nostalgia verso il regime fascista, ma che hanno ereditato le sensibilità attendiste della cosiddetta “zona grigia” oppure atteggiamenti individualisti o qualunquisti.
In questi 79 anni, la Resistenza è stata celebrata, ma anche attaccata e sminuita. Perfino da alcuni storici (purtroppo non radiati, ma quantomeno isolati) o sedicenti tali. Il cosiddetto “revisionismo storico”, non è un fenomeno recente e contrasti, anche aspri, nell’interpretazione dell’esperienza resistenziale sono sempre esistiti. Proprio perché siamo un Paese da abbattere e rifondare.
D’altra parte, il dibattito sulla memoria, e su questa memoria in particolare, non è scevro di conseguenze vaste sull’orientamento che il Paese può prendere oggi e in futuro, nel definire cioè il nostro presente e il nostro domani. Capire questa connessione è importante; non abbiamo di fronte un’icona vuota ma una memoria viva, che impegna, costringe a scegliere e può quindi, sempre in un Paese di orfani d’intelletto come il nostro, anche dividere.
Vivere il 25 aprile come qualcosa di vivo e pulsante, capace di parlarci ancora, rimane comunque anche il modo migliore per ricordare quanti in quella difficile stagione seppero scegliere da che parte stare e il prezzo che pagarono.
E se oggi siamo qui, e possiamo scrivere qualcosina, informare, lo dobbiamo ai nostri PARTIGIANI.
Lo dobbiamo alla libertà.
Senza mai dimenticare che l’Italia, come tanti altri Paese europei e non, è una democrazia avanzata e deviata, che non ha perso i caratteri essenziali del fascismo.
Li ha soltanto nascosti e limati, ovvero cambia la forma ma la sostanza è la stessa: corruzione ed evasione sono più che mai presenti, i giornali, quasi tutti, sono megafoni di partito, i politici indagati e condannati spesso vengono premiati o peggio ancora rieletti, le donne sottopagate, i giovani estromessi dal mondo del lavoro e sfruttati, i pensionati umiliatuli, la Sanità distrutta, etc.
Basta. Mi fermo qui e auguro a tutti un sereno 25 APRILE.
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Salvatore Granata