PRETESTO PER GUERRE VERE E ATTI DI GUERRA PER FINTA O PER INGANNO

DA REDAZIONE

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Giovanni Punzo dalla redazione di REMOCONTRO –

Le bombe israeliane vere sul consolato dell’Iran a Damasco con vittime illustri, e centinaia di droni iraniani quasi preavvertiti per essere abbattuti sulla rotta verso Israele. Terzo atto, l’eterno diritto di replica, anche se dispari, da parte di Israele che colpisce in Iran ma senza voler fare molto danno. Attacco vero, Damasco, e risposte più ad uso di opinione pubblica interna, che per fare veramente male. Ad evitare di farsi tutti -tutto il mondo-, veramente tanto/troppo male.
Chiarito il riferimento all’attualità, a Giovanni Punzo proporci qualche precedente nella storia. Partendo subito dal difficile (e contestabile) Nietzsche.
«Voi dite che è la buona causa che rende santa perfino la guerra. Io vi dico: è la buona guerra che rende santa qualsiasi causa», (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra).

Provocazioni strategiche e semplici pretesti

Nella storia delle guerre ci sono sempre stati dei «validi motivi» per cominciarle. Quando non si trovavano, si cercava un pretesto o si creava un incidente: si faceva cadere in trappola chi cercava di difendersi dichiarando invece che era stato l’aggressore. Lo fece ad esempio Otto von Bismarck modificando il testo di un telegramma per scatenare la guerra con la Francia nel 1870 o l’Unione Sovietica con la Finlandia nel 1939, ma non inventarono nulla di nuovo. Ai tempi dei Romani spesso il trattato di pace era scritto in maniera tale da provocare un’altra guerra avendo però ragione già prima di cominciarla.

L’incidente di Gleiwitz

Il 1° settembre 1939 la Germani nazista attaccò la Polonia. L’annuncio ufficiale avvenne nel corso di un discorso di Adolf Hitler al Reichstag in cui si affermò di aver reagito all’ennesima intollerabile provocazione polacca, presentando l’aggressione tedesca quasi come una legittima difesa.
I polacchi – si sostenne – poche ora prima avevano attaccato la stazione radio tedesca di Gleiwitz in Slesia (oggi Gliwice, in Polonia) e altri tredici punti lungo il confine. Non solo non era vero e si trattava quindi di una notizia falsa, ma gli stessi tedeschi avevano organizzato un finto attacco alla propria stazione. L’organizzatore principale era stato invece Reynhard Heydrich, all’epoca capo del servizio di sicurezza, che aveva ricevuto l’ordine da Hitler in persona almeno dalla fine di luglio e cioè un mese prima.
Negli ultimi giorni di agosto la Germania aveva poi intensificato le ricognizioni aeree e movimenti di truppe al confine provocando la mobilitazione polacca, ma nel frattempo Heydrich si era procurato un centinaio di uniformi polacche per la messa in scena. Quando i tedeschi travestiti da soldati polacchi attaccarono la stazione, il ministro degli esteri nazista Ribbentrop aveva già annunciato a Francia ed Inghilterra che con i polacchi era impossibile trattare.
Nel corso della simulazione inoltre, mentre i microfoni della stazione trasmettevano ancora, furono mandate in onda grida in polacco e sparati numerosi colpi. Il discorso di Hitler fu infine pronunciato il 1° settembre, quando cioè i giornali di tutta la Germania annunciarono l’attacco ‘a tradimento’ ad una pacifica installazione radio.

Il genocidio in Ruanda

Nel 1994, in Ruanda, tutto cominciò quando l’aereo che aveva a bordo il dittatore hutu Habyarimana precipitò nei pressi dell’aeroporto di Kigali, capitale del paese. L’inchiesta accertò che si era trattato di un abbattimento causato da un missile, e non di un guasto o di un errore del pilota. Ovviamente la reazione popolare degli hutu si volse subito contro l’altra etnia presente nel paese, i tutsi, rivali storici almeno da quando il Belgio aveva concesso l’indipendenza alla colonia.
Le trasmissioni radiofoniche di Radio Ruanda e Mille Colline, che da anni incitavano all’odio nei confronti dei tutsi appellandoli nei modi più orribili, esortarono allora quotidianamente alla vendetta provocando uno dei massacri più tristemente noti della storia del XX secolo nel quale perirono da seicentomila a ottocentomila esseri umani.
Da anni – mentre si svolgeva cioè la campagna d’odio – era stato elaborato un piano da Habyarimana e le liste dei nemici erano già pronte: lo stesso dittatore controllava del resto le radio e inoltre dai documenti di identità personale si poteva riconoscere l’etnia di appartenenza. In realtà, dopo le stragi, si fece strada un’ipotesi agghiacciante: per liberarsi nello stesso tempo del dittatore diventato scomodo e dell’etnia avversaria, era stato invece un gruppo di hutu ad abbattere l’aereo scatenando il conflitto.

Iraq, «armi di distruzione di massa»

La questione è ancora controversa e suscita polemiche roventi anche dopo vent’anni, ma la motivazione della guerra contro il dittatore iraqeno Saddam Hussein, ossia quella del possesso di un arsenale di armi chimiche, batteriologiche e – forse – nucleari, con il passare del tempo si rivelò non vera. Non è stato chiarito infatti se tale motivazione sia derivata da un’errata informazione fornita dai servizi, o se sia stata costruita a tavolino, probabilmente nello studio ovale della Casa Bianca da George W. Bush.
All’indomani dell’11 settembre 2001 infatti, vista la situazione afghana e il ruolo che vi svolgeva l’organizzazione terroristica di Al Qaeda, ben pochi si opposero ad un intervento in quel paese, tanto più che il maggior sospettato si trovava tra le montagne di Tora Bora. Quando però si parlò nel 2002 di intervenire in Iraq, le reazioni dei potenziali alleati furono molto più fredde. Non si trovava insomma un collegamento diretto con l’attentato delle Torri gemelle, sebbene nessuno però contestasse il fatto che il regime di Saddam fosse comunque una dittatura sanguinaria.
C’era inoltre chi sosteneva che, dopo la prima guerra del Golfo, l’Iraq fosse al collasso, ma cominciò una campagna basata su due argomenti: le armi di distruzione di massa e i legami con il terrorismo. In un famoso discorso alle Nazioni Unite il segretario di Stato Colin Powell – che si scoprì poi essere scettico lui stesso sull’intervento – agitò una fialetta davanti all’assemblea generale e pronunciò almeno una dozzina di volta le parole «armi di distruzione di massa».

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Articolo di Giovanni Punzo da

21 Aprile 2024