TROJAN E DINTORNI

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Credo, correggetemi se sbaglio, che nella vita di ognuno di noi ci siano cose che sarebbe meglio se non si sapessero in giro.
Peccati veniali. Magari qualche incontro casuale con persone poco raccomandabili, un idraulico pagato in nero, una guida troppo veloce, un acquisto discutibile, una telefonata troppo disinvolta, un accesso a un sito porno, una capatina in un luogo dove non saremmo dovuti andare.
L’idea che qualcuno possa mettere insieme tutte queste informazioni e manipolarle per distruggere una reputazione è inquietante per un cittadino qualunque come me. Posso immaginare quale angoscia possa attanagliare un politico, un magistrato o un giornalista che sulla propria reputazione ha costruito una carriera e una fonte di reddito.
Siamo tutti ricattabili, e lo siamo a causa dei nostri amati smartphone e delle “banche dati” dove queste spiate elettroniche affluiscono. Paradossalmente gli unici che possono stare tranquilli sono proprio i mafiosi che si vorrebbero colpire, quelli che cambiano le SIM più spesso delle mutande e che di una buona reputazione non sanno proprio che farsene.
Le banche dati saranno anche un male necessario per combattere la criminalità organizzata ma l’accesso alle informazioni raccolte dovrebbe essere difeso come il tesoro di Fort Knox e invece è un colabrodo a disposizione di chiunque voglia approfittarne.
Il mondo distopico immaginato da Orwell è già qua da un pezzo, ormai siamo tutti figli di un Trojan.