UNA POLPETTA AVVELENATA PER PUTIN

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Ogni Propaganda ingegnosa può dar da bere qualsiasi cosa. Ma dall’altra parte deve esserci sempre qualcuno con un sistema immunitario altamente deficitario. Perché se è vero, come diceva Adolf Hitler, uno che di propaganda se ne intendeva, che più grossa è la menzogna, maggiore è la probabilità che la gente ci creda, è anche vero che il noto aforisma vale soltanto per chi ha deciso di rinchiudere la propria logica in un congelatore.
Il mainstream dà per scontato che a causare la morte di Alexey Navalny sia stato un ordine impartito dall’alto, ossia da Vladimir Putin, che di fatto controllerebbe la vita di ogni russo, sia in patria che all’estero. A maggior ragione quella di Navalny, da tempo nelle patrie galere, e con cui il presidente russo difficilmente condividerebbe un pasto a base di vodka e caviale.
Ma se Putin avesse realmente dato l’ordine di eliminare Navalny, una cosa è certa: non avrebbe potuto scegliere momento peggiore. Le elezioni presidenziali, che si terranno dal 15 al 17 marzo, per ora lo vedono in netto vantaggio sugli altri candidati.
Chi invece riesce a mantenere la logica a temperatura ambiente, capisce senza troppi sforzi che in quest’ultimo mese scarso di campagna elettorale che gli rimane, Putin dovrà distrarre buona parte delle proprie energie per convincere il proprio elettorato di non avere nulla a che vedere con la morte del suo oppositore.
Perché tra i suoi elettori seriali e potenziali, saranno ben pochi quelli che approverebbero un omicidio di Stato. I russi non sono dei trogloditi. E se è vero che la loro Propaganda non ha nulla da invidiare alla nostra, non vi è dubbio che la sola diffusione di quella notizia avrà creato grande imbarazzo a un Cremlino assediato dai media di mezzo mondo; e oggi additato, senza mai ricorrere ad eufemismi, come il mandante dell’assassinio di Alexey Navalny.
In sintesi, o si concorda tutti sul fatto che Putin, più che uno statista, è un cretino piramidale, oppure nella narrazione omicidiaria c’è qualcosa che non torna.
Del resto, Navalny non stava scontando la pena agli arresti domiciliari in una dimora in stile berlusconiano, ma in un Gulag siberiano situato a una sessantina di km al di là del circolo polare artico, battezzato «la colonia dei lupi polari», dove nemmeno la posta riesce ad arrivare e in cui si viene dispensati dal lavoro esterno soltanto quando la temperatura scende al di sotto dei -35°.
Ma nelle carceri dure succede di morire. Anche a Guantanamo, enclave Usa in territorio cubano, dove il clima è un tantino più mite di quello che attanaglia la colonia penale siberiana, sono diversi coloro che non hanno fatto più ritorno. Ma nessuno ha mai pensato di incolpare il presidente Usa di turno.
E persino in quelle nostre civilissime carceri in cui vige 41-bis capita di morire. Ma non per questo il presidente del consiglio viene ogni volta scaraventato sul banco degli imputati.
Se dovesse trattarsi di omicidio, Putin è l’ultimo che avrebbe potuto nutrire qualche interesse per la morte di Navalny, a un mese dalle elezioni. Dovremmo pensare, invece, a chi aveva tutto da guadagnarci nel mettere in difficoltà il presidente russo.