QUALCOSA SU SANREMO

DI ORSO GRIGIO

REDAZIONE

 

Quello che sta succedendo, e nell’indifferenza di tutti, è come un macigno che opprime la mente. Mi uccide, lo farà prima del tempo e delle malattie, e faccio fatica anche a scriverne. Non riesco a focalizzare l’attenzione, a stabilire un ordine di importanza, visto l’accavallarsi di eventi e tragedie ogni volta più devastanti, e soprattutto avendo la piena consapevolezza dell’inutilità di parlarne.
La risposta è nel vento, diceva un grande, ma ormai nel vento e poi nel nulla ci finiscono anche le domande.
E allora cercherò di ricominciare a scrivere entrando dalla porta di servizio.
Parlando di Sanremo, per esempio.
Ne hanno scritto tutti: chi sono io per non farlo?
Le serate non le ho viste e le canzoni non le ho sentite, ma tanto son fatte tutte con lo stampino e rispecchiano in pieno i tempi che viviamo, i peggiori di sempre. Eliminare la trap, che definirla musica sarebbe come definire Salvini statista, l’autotune, che se per il mai troppo sopravvalutato Zerbi è uno strumento per esprimere creatività per me ne è esattamente la negazione, e rimettere gli interpreti al posto dei personaggi, l’anima al posto dei lustrini, dei tatuaggi e di improbabili e ridicoli vestimenti, aiuterebbe, ma è una pia illusione.
Già il fatto che certa roba la scrivano in gruppi di cinque o sei la dice lunga. I capolavori veri si scrivono al massimo in due: uno le parole e uno la musica, tipo Lennon-McCartney, Mogol-Battisti, Pallavicini-Conte, per capirsi.
Così vi racconto di quello che sono andato a curiosare a bocce ferme su Raiplay e di quello che penso su alcune cose successe e chiacchierate.
Se non siete interessati e vi aspettavate altro, sapete dov’è la porta.
Ah, le cose o le persone di cui non parlo ci sarà un perché.
Giorgia e Mengoni non mi piacciono. Esaltati fino al tetto, e di certo bravi, entrambi con una tecnica e una vocalità di altissimo livello, producono entrambi sguerguenze che mi danno il prurito, mi infastidiscono, non le trovo quasi mai funzionali all’interpretazione ma utili semmai a dimostrare quanto i suddetti siano bravini anziché no.
Vale soprattutto per Giorgia che si inerpica su ghirigori pazzeschi e irripetibili ma piuttosto superflui, se non del tutto dannosi e dispersivi rispetto all’armonia del brano. Quel suo palleggiare con la voce ha più a che fare con l’attività circense che con l’anima.
Mi ricorda certi chitarristi ultra veloci, quelli da millemila note al secondo, che si impegnano come forsennati per mostrare la loro mercanzia e poi arrivano quelli come Knopfler o Clapton che con due note lente gli danno paga a tutti.
Però son gusti, eh, sia chiaro.
Allevi invece mi ha emozionato. Non è mai stato nelle mie playlist, ma il suo amore per la musica e la forza che ne trae per affrontare la vita un po’ li conosco. Certi pianisti classici, fenomeni che possono riprodurre qualsiasi sonata scritta, di qualsiasi difficoltà e anche in modalità turbo, lo odiano perché non lo ritengono meritevole del successo che ha. Io credo invece che fra loro e lui ci sia una differenza evidente e sostanziale: lui la musica la compone anche, ci vive dentro, la usa per esprimersi al di là di quello che le parole non riescono a dire.
E’ lui stesso, musica. Ha la stessa fragilità, la stessa armonia, la stessa bellezza. E’ la sua natura.
Per quello che vale, in bocca al lupo per tutto, Giovanni!
John Travolta ci ha preso tutti per il culo un’altra volta, e con lui ci hanno preso per il culo anche gli organizzatori del Festival.
Quando venne l’altra volta si fece un personalissimo spot sul suo sponsor di allora, una compagnia aerea, con tanto di loghi, divise e berretti in primo piano. Ah, per inciso considerate che la Rai copre qualsiasi riferimento a marchi o aziende proprio per evitare la pubblicità occulta. Mettono il nastro nero sui marchi delle chitarre o delle tastiere, per dire, o sulle bottiglie d’acqua. In quel caso invece non coprirono niente, dimostrando in maniere evidente di essere consapevoli di quella pubblicità e forse perfino complici.
Per tutto questo venne perfino pagato, e pure parecchio.
Stavolta è stato uguale: le scarpe che lui pubblicizza sempre in primo piano, lo sponsor che aveva annunciato lo show a Sanremo, Amadeus che cita lo slogan pubblicitario. Solito copione.
Però dicono che stavolta gli sarebbe stato riconosciuto solo un rimborso spese. Strano però che l’importo non si riesca a conoscerlo, visto che trattasi pur sempre dei nostri soldi e dovremmo avere il diritto di sapere dove caz*o vanno a finire.
In quanto alla gag, poi, passare dal massaggio dei piedi della Cabello al ballo del qua qua non mi sembra una grande evoluzione, ma rispecchia evidentemente la creatività di certi geni che oltre certe merdate non sa spingersi. Tuttavia è anche vero che se lui non voleva farlo o si sentiva ridicolo poteva rifiutarsi e financo andarsene. Le scarpette per pedalare veloce le aveva e al massimo avrebbe perso il rimborso spese.
O no?
Un pessimo affare, insomma.
Paolo Iannacci e Stefano Massini mi sono piaciuti, anche per l’affetto infinito che nutro per quel genio di Enzo e la proprietà transitiva che lo traferisce al figlio.
Qualche retorica di troppo, certo, ma aver portato su quel palco così asettico e volutamente fuori dal mondo reale, un problema così enorme e tragico come quello dei morti sul lavoro merita solo applausi.
La serata dei duetti è stata, come spesso succede e anche a detta di quelle due o tre persone che ne capiscono più di me, la migliore di tutto il Festival. Almeno quattro o cinque sono stati di livello stellare.
Primo quello fra Roberto Vecchioni e Alfa. La canzone è molto più che bella e il mio amore per questo cantautore risale ormai al Pleistocene, e poi la faccia innamorata del ragazzo che lo guarda è stata sincera emozione. Per una volta ho sopportato e perfino apprezzato le odiosissime “barre”, che qui anzi avevano spessore e senso tali da essere all’altezza della richiesta con la quale si chiude la canzone: “Sogna, ragazzo, sogna ti ho lasciato un foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia puoi finirla tu”. E quel verso il ragazzo l’ha scritto molto bene.
Tanti brividi.
E poi Angelina Mango, di una potenza espressiva ne “La rondine” che lascia piuttosto allibiti a quell’età. La scuola genetica aiuta, suo padre era un grandissimo, ma lei ci mette del suo. La canzone con la quale ha vinto invece non mi piace. Lei ha una voce e un talento che meriterebbero autori migliori.
Bravi anche Annalisa in un pezzo piuttosto difficile e Diodato che finalmente ha reso onore a De André interpretandolo e non eseguendone una banale cover come fanno quasi tutti.
Altri duetti li ho invece trovati inguardabili e inaudibili, tipo quello dei Negramaro, del Volo nonostante la presenza di uno dei più grandi chitarristi di sempre, del tutto fuori posto in quel contesto, o di Renga e Nek che hanno celebrato loro stessi, o ancora quello con la Nannini, un’altra troppo autoreferenziale, però con qualche stecca in più degli altri, come sua consuetudine.
Sulla polemica di Geolier mi limito a dire che trovo singolare cambiare le regole d’ingaggio per farlo partecipare con una canzone in dialetto e poi stupirsi, quasi incazzarsi, perché è il più votato dalla gente. Bisognerebbe fare pace con la logica.
E comunque il ragazzo a Sanremo pare sia venuto con il jet privato, e francamente faccio fatica a schierarmi.
Mi pare ovvio in ogni caso che per i suoni e i rumori che produce vale anche per lui il discorso generale fatto all’inizio.
Per il resto Amadeus e le sue moine con moglie e figlio al seguito e Fiorello con la sua innocua ironia spacciata per satira, che alla gente “tanto fa suonargli un corno che un violino”, hanno un po’ stancato. Ormai loro due e Carlo Conti stanno alla Rai come Toni Servillo sta a Paolo Sorrentino.
Anche meno, please!
Il clou è però quello della Venier.
I fatti li conoscete, il contenuto di quel comunicato dove la Rai chiedeva scusa all’ambasciatore cianciando che fin dall’inizio hanno sempre attaccato Hamas e difeso il diritto di Israele di vendicarsi, senza nemmeno dare un’occhiata dall’altra parte, dove migliaia e migliaia di bambini vengono massacrati ogni giorno, è un abisso di vergogna con pochi riscontri.
Era un comunicato del capo e si sa, il dipendente lo deve leggere. Ma non credo sia obbligato a dirsi d’accordo con quelle righe, e perdipiù a nome di tutto il resto della platea e del pubblico.
Ora io, che vivo su Urano, mi chiedo: se a 73 anni, al vertice di una carriera con un presente di successi e un futuro assicurato, economico e professionale, in una posizione che non cadi nemmeno se ti sparano perché hai acquisito, per meriti o fortuna non importa, una forza mediatica e contrattuale a prova di qualsiasi attacco, non hai il coraggio di pronunciare un distinguo, se hai paura che i tuoi ospiti manifestino liberamente un’idea molto più che legittima, per condividere la quale non serve nemmeno il coraggio ma basta il buon senso, se ti nascondi dietro la gigantesca cazzata che la politica in certe cose non dovrebbe entrarci oppure ti lamenti perché certe situazioni ti mettono in imbarazzo, povera anima, come se i morti si dovessero scusare loro, evidentemente non si tratta solo di pavidità.
E’ che quel distinguo non ce l’hai, sei così e basta.
E comunque qualcuno l’avvisi che adesso perfino il Parlamento intero sembra pensarla come Ghali.