DI MICHELE PIRAS
Chiedi chi era Gigi Riva e lei ti risponderà…
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Quando gli proposero il Cagliari Gigi non sapeva nemmeno dov’era la Sardegna, come la maggior parte degli italiani in quegli anni.
Erano tempi nei quali i sardi erano considerati tutti pecorai (come se questa fosse peraltro un’offesa) o sequestratori di persona (e questa certamente lo era).
Arretrati, zotici, sporchi e puzzolenti, linguisticamente incomprensibili, fisicamente strani, bassi, irsuti: un popolo che nessuno capiva come non si capivano le ragioni di tanta miseria né i secoli di maledetta oppressione, anche attraverso la frusta sabauda.
Venne e non se ne andò più e qui capì che i suoi gol valevano qualcosa di più dei soldi della Juventus e davvero molto di più di un gioco.
Ecco perché quello scudetto rappresentò e rappresenta altro rispetto alla noia delle decine di scudetti di Juve, Milan e Inter.
Un punto di riscatto dell’Isola dimenticata, il petto gonfio di orgoglio dei migranti nelle fabbriche del Continente, della Germania e della Francia, delle miniere del Belgio e del Sulcis, fra i pastori semi nomadi e i contadini con la schiena curva.
La classe operaia che andava in paradiso, anche solo per un anno con il tricolore cucito sul petto, un unincum, un fatto irripetibile, anche se tutti vorremmo che così non fosse.
È per questo che oggi piango, caro Gigi, non per la fede calcistica, ma perché oggi abbiamo perso davvero un parte di noi.
E Maradona e il Napoli vennero dopo, molto dopo.
Prima del San Paolo ci fu l’Amsicora, ancora lì, come un monumento alla memoria.
E oggi Gigi Riva è immortale.
Il suo sorriso d’amore per la Sardegna.
La sua grandezza in campo, dove osò sfidare Pelè e l’intera famiglia Agnelli, e fuori dal campo nei paesini polverosi di un epoca che anche noi abbiamo dimenticato, nella sua Cagliari che solo lui e quella squadra gloriosa seppero rendere per davvero punto di unione dei sardi e capitale di un popolo.
Non merita solo rispetto e silenzio, Gigi Riva, ma il “rombo di un tuono” a salutarne l’ascesa fra gli dei.
All’eternità Gigi.
Ti abbiamo voluto bene anche noi nati dopo.
Ti abbiamo amato tutti, da nord a sud, dalla Barbagia al Logudoro, dal Sulcis alla Gallura.
E ti racconteremo ai figli e ai nipoti, come facevano gli anziani sin dall’antichità, perché il tuo ricordo sia memoria.
E non muoia mai.