CRISI INTERNAZIONALI E LE TENTAZIONI DI ISOLAZIONISMO EGEMONICO AMERICANO

DA REDAZIONE

REDAZIONE

 

PIERO ORTECA dalla redazione di REMOCONTRO –

America al bivio. Presidenziali 2024 decisive per stabilire quale ruolo gli Stati Uniti continueranno a giocare nello scacchiere mondiale. Alcuni indizi, cominciano a dare dei segnali abbastanza chiari: si va verso una fase di minore esposizione degli Usa come ‘poliziotto globale’. Costa troppo. E il pianeta è un boccone troppo grosso, persino per una superpotenza ricca di ambizioni e di risorse, che però non sono illimitate.

E proprio ieri la Casa Bianca: «Fondi finiti, stop agli aiuti all’Ucraina», parte dello scontro tra democratici e repubblicani su nuovi aiuti legato a nuove misure di sicurezza al confine col Messico contro la crisi migratoria.

Neo-isolazionismo o fuga da troppi fallimenti?

“Presidenziali 2024 decisive con una fase di minore esposizione degli Usa. Costa troppo. E il pianeta è un boccone troppo grosso, persino per una superpotenza ricca di ambizioni e di risorse, che però non sono illimitate”.

Sicuramente, chiunque vinca, ci sarà una profonda revisione di una foreign policy quasi fallimentare, che, a partire dalla fuga dall’Afghanistan, ha saputo solo accumulare crisi e guerre (Ucraina, Indo-Pacifico, Medio Oriente) senza mai dare la sensazione di saperle padroneggiare. Anzi, le scelte collaterali fatte per dimostrare la ‘unipolarità’ del modello geopolitico imposto da Washington, sanzioni economiche e disaccoppiamento commerciale, hanno persino contribuito a mettere alle corde il sistema produttivo globale. Ovviamente, in futuro la direzione che imboccherà il Dipartimento di Stato sarà quella tracciata nello Studio ovale.

Biden o Trump o un terzo del miracolo

L’eventuale conferma di Biden, imporrà, lo stesso, un certo grado di ‘riflessione’ sulla presenza americana nello scenario mondiale. Non è solo una mera questione di filosofia politica, ma di molto più prosaica ‘contabilità dello Stato’. Gli Usa, matematica finanziaria alla mano, non possono assolutamente gestire due macro-aree di crisi contemporaneamente. O, forse, lo potrebbero fare. Ma solo distogliendo così tante risorse dalla ricchezza nazionale, da incidere negativamente sulla qualità di vita dei loro cittadini. Un’operazione elettoralmente catastrofica.

Trump e America First

Per il ‘front-runner’ repubblicano (cioè Trump, se non dovessero verificarsi incidenti giudiziari), tutti sanno che ha nel suo programma delle linee-guida molto chiare: «America first». Trump vuole concentrarsi in prima battuta sui problemi interni, dalla criminalità all’immigrazione illegale. Puntando poi su un rilancio dell’economia, frutto di una visione da ‘liberismo d’assalto’.

Il peso elettorale della politica estera

Comunque sia, probabilmente mai come in queste elezioni per la Casa Bianca, la politica estera potrebbe avere un impatto decisivo per condizionare il voto in quegli Stati determinanti, che gli analisti chiamano ‘battlegrounds’ (campi di battaglia). Come il Michigan, che ospita la più grande minoranza araba del Paese e che gli ultimi sondaggi attribuiscono a Trump con quasi 10 punti di vantaggio, punendo la politica di Biden verso Israele. Ma il primo vero confronto si avrà tra alcuni giorni nello Iowa, con la scelta dei candidati per le primarie repubblicane. Col Governatore della Florida Ron DeSantis che accusa l’avversario Nikki Haley (e indirettamente Biden), di occuparsi più del confine ucraino che ‘del nostro confine’.

Immigrati e Cina prima dell’Ucraina. Medio Oriente innominato

Ucraina: «Come si possono inviare altri 100 miliardi di dollari, che diventeranno 200, ignorando i problemi interni? In secondo luogo, la minaccia numero uno per il nostro Paese è la Cina e Biden non fa nulla per scoraggiarla». DeSantis, anche smarcandosi leggermente, in effetti, sintetizza quella che è pure la posizione di Trump: chiudere prima possibile la partita in Ucraina e guardarsi bene le spalle da Pechino. Corto, rozzo e netto. Ma comprensibile.

Dem, politica estera in confusione

Alle ricorrenti voci di ‘fibrillazioni’ dentro la stessa Amministrazione, sulla controversa conduzione della crisi mediorientale, si aggiungono i preoccupanti segnali che arrivano dai sondaggi. Non solo quelli che certificano la corsa tra Biden e Trump, ma anche i ‘polls’ che prendono in esame altre variabili. Secondo l’ultimo rapporto Reuters-Ipsos, il ‘terzo incomodo’ Robert Kennedy Jr., noto esponente populista-pacifista, potrebbe erodere parecchi voti al ‘guerrafondaio’ Biden.

“Il risultato è: Trump 30, Biden 29, Kennedy 18. Rispetto a un paio di mesi fa è cambiato tutto, e ora Blinken deve per forza accelerare la sua attività diplomatica, se non vuole far perdere la Casa Bianca ai Democratici. Decidendo qualcosa di credibile per il Medio Oriente subito e per l’Ucraina presto”.

.

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

12 Gennaio 2024