TRE VISIONI A CONFRONTO

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Con l’anno nuovo voglio riproporre, rivedute e corrette, due riflessioni su un terreno che trovo particolarmente stimolante.
Parlo del rapporto di una filosofia come quella Buddhista con il Capitalismo e il Marxismo.
Premessa non sono Buddhista. Anzi sono un marxista. Forse sono la persona meno indicata per scriverne, ma il mio è un tentativo per spiegarsi meglio quel che si vive.
Perché proprio il Buddhismo? Perché è una filosofia che resiste, nonostante tutto, all’usura del Tempo.
Perché il Capitalismo e il Marxismo? Perché sono due opposti fra loro, due modi inconciliabili di stare al mondo.
Ho provato – semplificando al massimo – a mettere a confronto queste tre visioni…

BUDDHISMO E CAPITALISMO

Per il Buddha, la natura transitoria della vita rende la sofferenza inevitabile. Onnipresente. Siamo tormentati dalla paura di ammalarci, di perdere il lavoro, di perdere le persone a cui teniamo di più.
Quando poi invecchiamo perdiamo la nostra forma, prima fisica e poi mentale. Insomma la sofferenza anche sotto forma d’insoddisfazione o disillusione accompagna tutto il corso della nostra vita.
Ma c’è una ulteriore fonte di sofferenza che Buddha non poteva neanche lontanamente immaginare: il Capitalismo, con i suoi frutti velenosi.
Consumismo morboso, smarrimento sociale e individuale, legami corruttibili.
<<Il capitalismo dice: “Non puoi sfuggire alla sofferenza, non puoi sfuggire alla lotta, quindi è meglio che cerchi di vincere, diventando il più competitivo e individualista possibile”. Il buddismo, al contrario, dice che la via d’uscita dalla sofferenza è la compassione. Si tratta di capire che la mia sofferenza è ciò che mi connette alle altre persone. Trascurare quella sofferenza e rifiutarla, è in realtà trascurare le mie responsabilità come essere umano. L’unica vera soluzione alla sofferenza, secondo il buddismo, è lavorare per contenere la bramosia per i beni materiali, che è all’origine della lotta>>. (Tim Jackson)
Il Capitalismo è senza volto. È ovunque e opera da secoli nei cinque continenti. Nell’indice Down Jones, così come nelle cripto valute, nella Russia di Putin, così come in Amazon. Perfino nella Cina di Xi Jinping.
Di mutazione in mutazione il Capitalismo sopravvive a se stesso.
Quello dal volto umano (Welfare) è stato stracciato dal neoliberismo, a sua volta soppiantato da un Capitalismo di ultima generazione che industrializza, ingegnerizza e commercializza tutto quanto è fatturabile.
Il Capitalismo considera gli umani come vasi da riempire fino all’orlo di cose materiali ed immateriali. Non esiste più la verità delle cose, ma solo la varietà delle cose.
Il Capitalismo è anche una dottrina: abbattute e abbandonate le ideologie del Novecento, non può esserci altro “Senso”, scopo di vita, se non quello del consumo e del godimento illimitato e all’infinito.
Ma non siamo “Noi” a decidere e a desiderare. Il gusto viene educato, l’emozione provocata, il corpo alterato.
Alla fine ciò che possiedi, possiede te.
La condizione per cui questo si realizzi è che nulla si consolidi dentro e fuori di “Noi”. Tutto dev’essere volatile, per una successione di nuovi inizi.
Si sgretola così non solo la solidità delle relazioni, ma svanisce anche l’idea di comunità, appartenenza, dove nessuno è più compagno di strada, ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi.
Quanto al futuro, il Capitalismo, lo lascia volentieri ai sognatori, agli ideologi, ai rivoluzionari, agli ecologisti. Con le ricorrenti conseguenze che conosciamo: rivolte, repressione, delusione, contrizione, riflusso.
Sfortunatamente, per fermare questa macchina infernale, che ingloba tutto e tutti, non basta gridare a squarciagola “Fuck the system”, e neanche un buddhismo sotto forma dell’ultima “app” per stressati.
Il più intelligente accademico marxista del nostro tempo, Slavoj Žižek, una volta disse che “l’atteggiamento meditativo del buddhista occidentale è probabilmente il modo più efficiente per noi di partecipare pienamente alle dinamiche capitaliste pur mantenendo l’apparenza di sanità mentale”.
Difficile dargli torto. Sembrerebbe una contraddizione inaggirabile. Il rischio che le filosofie di vita orientali aiutino di più le persone ad adattarsi allo status quo, piuttosto che a trasformarlo è lampante.
Ma è altrettanto vero che piuttosto che finire spappolati da una cultura iper-competitiva, ultra-individualista che ci separa e ci aliena, sarebbe preferibile affidarsi ad una pratica di “consapevolezza” per fronteggiare almeno gli aspetti più malvagi delle mille e mille contaminazioni cui siamo stati sottoposti nell’arco dell’esistenza.
Capire come questi veleni operino dentro di noi. Lavorare sul tirannosauro interiore gioverebbe a coloro che soffrono di più delle malattie del Capitalismo.
Il Buddhismo, la meditazione, la pratica della consapevolezza … non sono la panacea di tutti i mali, ma ci aiuteranno ad essere meno idioti.
Penso che più percorriamo questo sentiero, più chiara sarà la connessione tra la pratica e il nostro comportamento morale quotidiano.
<<Essendo fallite tutte le rivoluzioni, l’unico modo per non farsi consumare dal consumismo è quello di digiunare, digiunare da qualsiasi cosa che non sia assolutamente indispensabile, digiunare dal comprare il superfluo. Se venissi ascoltato sarebbe la fine dell’economia. Ma se l’economia continua a imperversare come fa, sarà la fine del mondo>>. (Tiziano Terzani)
Ricalibrare. Ricalibrarsi. Questo non è un passo avanti, questo è il passo avanti. Resistenza Consapevole.
La domanda non è più: chi siamo? La domanda è: chi vogliamo essere?
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(Prossimo articolo Buddhismo e Marxismo)