PUTIN D’ARABIA. RUSSIA, RITORNO IN MEDIO ORIENTE: ISRAELE, UCRAINA E PETROLIO

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Putin d’Arabia. Il leader del Cremlino sceglie il Golfo Persico, per un viaggio a sorpresa che farà rumore. Oggi, arriva per un blitz diplomatico nella regione, dove s’incontrerà con l’uomo forte della monarchia saudita, il principe Mohammed bin Salman. Il Presidente della Russia, in un pomeriggio molto trafficato, vedrà anche i governanti degli Emirati Arabi, un altro Paese che sta crescendo parecchio d’importanza come potenza finanziaria di tutta l’area mediorientale. E poi l’Iran. Petrolio da far pagare più caro, Ucraina, Israele e il massacro di Gaza, gli Usa prigionieri dei furori vendicativi di Netanyahu.

Ritorno della Russia in Medio Oriente: petrolio ma non solo

Annunciando il viaggio, il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha detto che tra i temi che verranno trattati, nel corso degli incontri, ci saranno anche la guerra tra Israele e Hamas e, «possibili azioni congiunte per coordinare la produzione globale di petrolio e per garantirne la stabilità dei prezzi». Questo sembra, in effetti, uno degli obiettivi più immediati che stanno a cuore a sauditi e russi, che hanno già deciso di tagliare la loro produzione di greggio di quasi un milione e mezzo di barili al giorno, almeno fino alla fine dell’anno. Naturalmente, con l’obiettivo di tenerne sostenuto il prezzo, intorno agli 85-90 dollari al barile.

Ucraina e Israele, il peso dello scontento arabo

L’Ucraina sarà l’altro argomento di cui Putin discuterà con gli interlocutori arabi. Il suo ‘adviser’ di politica estera, Yuri Ushakov, citato dal New York Times, ha sostenuto che «è importante che i nostri colleghi ascoltino come si sta sviluppando la situazione laggiù». Anche perché, aggiungiamo noi, l’Arabia Saudita si è proposta più volte come autorevole mediatrice e, nell’estate di quest’anno, ha organizzato una conferenza internazionale di pace alla quale hanno partecipato una quarantina di Paesi.

Perché il viaggio proprio adesso?

Ma perché, proprio ora, Putin ha deciso di fare un viaggio così diplomaticamente impegnativo nel Golfo Persico? Le risposte possono essere diverse. Tutte, comunque, puntano allo sfruttamento di quella che potremmo definire una «finestra di opportunità geopolitica». Le cose si sono sviluppate in modo tale, dall’Ucraina fino al Medio Oriente, per non parlare della politica interna Usa, da mettere in palese difficoltà l’Amministrazione Biden e, a cascata, l’intero Occidente. Inoltre, un’Europa debole e frantumata contribuisce a far sentire Putin sempre più sicuro di sé.

Occidente nei guai e il sud del mondo

Così, la Russia passa al contrattacco, anche nel difficile campo di battaglia delle relazioni internazionali. E punta a guadagnare, se non alleanze, almeno simpatie e fiancheggiatori in tutto il Sud del mondo, tra i ‘non allineati’ e, adesso, dopo la tragedia di Gaza, nel variegato universo islamico. L’operazione strategica che il Cremlino sta portando avanti, nella vasta area compresa tra il Nordafrica, il Medio Oriente e il Golfo Persico, va seguita con estrema attenzione.

“Mosca sta sfruttando tutti i vuoti di potere, lasciati prima dal ‘neoisolazionismo’ di Trump e poi dalla superficialità di Biden. Così, la Russia, che era stata praticamente cacciata dal Medio Oriente, adesso ritorna protagonista e rischia di vincere solo per gli errori degli avversari”.

Ritorno in Medio Oriente, Iran e sauditi

Allarghiamo il grandangolo. Giovedì Putin vedrà anche il Presidente dell’Iran, Eprhaim Raisi. Con lui siamo sicuri che parlerà del famoso «Asse della resistenza» sponsorizzato dagli ayatollah. Cioè, Hezbollah, Guardie rivoluzionarie e milizie sciite in Siria, gruppi combattenti sciiti in Irak e, soprattutto, guerriglieri Houthi dello Yemen. Tutte queste formazioni hanno un comune denominatore: sono una spina nel fianco e pongono problemi di sicurezza nazionale ai sunniti dell’Arabia Saudita.

Putin pacificatore sunniti-sciiti

Putin forse può raggiungere, con la persuasione, quello che gli americani non sono ancora riusciti a fare con bombe e missili. E cioè, ‘pacificare a comando’  un’area che galleggia sui petrodollari e che aspetta solo un po’ più di tranquillità, per portare avanti i suoi faraonici progetti di sviluppo. In primis ‘Vision 2030’. Per la verità, ci aveva già pensato Trump, con i Patti di Abramo, che mettevano assieme gli ex odiati nemici, arabi e israeliani.

“Ma che avevano il torto di essere fatti, palesemente, contro l’Iran e, soprattutto, di dimenticarsi, quasi cancellandolo, di un attore importante: i palestinesi”.

Inciampo Usa sul furore di Netanyahu

Lo Shabbat nero’ del 7 ottobre ha rimesso tutto in discussione e, paradossalmente, ha dato un assist formidabile a Putin, per rilanciare la sua presenza in Medio Oriente. Una presenza che si rivelerà sempre più ingombrante per Biden, specie se il Presidente americano non sarà in grado di temperare, in qualche modo, il cieco furore di Netanyahu, che puzza più di vendetta che di saggia precauzione difensiva, in un’ottica di sicurezza nazionale.

Vittoria tattica, sconfitta strategica

In questo senso, ha pienamente ragione il Segretario alla Difesa americano Lloyd Austin, quando dice che «per cercare una vittoria tattica Israele rischia di trovare invece una sconfitta strategica».

“Una sconfitta che, dal punto di vista geopolitico, si estenderà anche gli Stati Uniti, considerati da tutti acritici sostenitori di un’operazione militare sproporzionata e capace solo di alimentare odii inestinguibili. Tutto questo, mentre Putin si riaffaccia con un ruolo da protagonista”.

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

6 Dicembre 2023