DI PIERO ORTECA
Stagflazione, la somma di due malattie gravi assieme: un aumento generale dei prezzi (inflazione), assieme ad una mancanza di crescita dell’economia (stagnazione).
Sentenza Economist
“Questa volta la sentenza dell’Economist non ammette repliche: il prossimo 14 settembre, la Banca centrale europea certificherà che il Vecchio continente è scivolato, in pieno, in una fase di ‘stagflazione’. Una condizione estrema, quasi paradossale, dell’economia, nella quale convivono contemporaneamente alta inflazione e crescita zero”.
La febbre inflazione che non scende
La prestigiosa rivista britannica sottolinea che i dati sui prezzi di luglio, nell’Eurozona, complicano le scelte dell’Istituto di Francoforte. Un parere analogo a quello del Financial Times, che spiega come l’inflazione generale sia rimasta inaspettatamente inchiodata al 5,3%. Un pessimo segnale, visto che gli analisti puntavano sul decremento di almeno due decimali. L’unica, molto parziale, buona notizia è quella sull’inflazione ‘core’, cioè al nocciolo essenziale depurato dagli energetici e dal carrello della spesa. Ma l’inflazione percepita è quella dei prodotti di largo consumo, come carburante e alimentari, che tende sempre a restare elevata. Politicamente parlando non è un bel biglietto da visita, per nessun governo, dirigere un sistema in cui l’economia arranca, la disoccupazione riparte e i prezzi penalizzano i consumatori. Viviamo in un mondo globalizzato, ma le ‘asimmetrie‘ finanziarie e le diverse strategie di sviluppo producono spesso risultati divergenti.
“Asimmetrie”, malattie e cure diverse
Così, in America abbiamo un’inflazione al 3,2% (due punti meno che in Europa), mentre nel Regno Unito il rialzo dei prezzi ha toccato addirittura il 6,8%. ‘Disturbi’ diversi richiedono, di conseguenza, anche terapie diverse. Nel senso che le mosse della Federal Reserve Usa possono essere imitate solo fino a un certo punto dalla BCE e dalla Banca d’Inghilterra. È questa la sostanza di tutto il discorso. Nella prossima riunione, a metà settembre, i vertici dell’Istituto di Francoforte lasceranno le cose come stanno, oppure decideranno un ulteriore ritocco dei tassi d’interesse? L’Economist avverte, ricordando le recenti parole di Christine Lagarde, la Presidentessa della BCE: «Puntiamo ad arrivare a livelli sufficientemente restrittivi di tassi d’interesse, per tutto il tempo necessario a raggiungere un tempestivo ritorno dell’inflazione al nostro obiettivo a medio termine del 2%».
“Tradotto, significa che potremmo aspettarci, pur essendo l’Eurozona sulle soglie della recessione, un’ulteriore piccola stretta monetaria”.
Quali aspettative?
Ovviamente, essendo l’economia sostanzialmente fatta di aspettative, non è tanto un ipotetico 0,25% di rialzo dei tassi, quanto piuttosto l’impatto psicologico a influenzare i mercati. Proporsi di portare l’inflazione al 2%, come si è impegnata a fare la Lagarde (e come, per la verità, dettano i sacri testi della teoria finanziaria) è attualmente uno sproposito. Per l’Europa, in particolare. Dall’America, però, sono arrivati messaggi inequivocabili su come Jay Powell intenda pilotare la Federal Reserve. Cioè, continuando un moderato rialzo dei tassi. E da quello che pare di capire, anche la BCE, magari sotto la spinta sempre vigorosa dei ‘duri e puri’ della Bundesbank tedesca, potrebbe finire per adeguarsi.
“Maltempo” diffuso sull’Unione
Il segnale ai mercati, in questo momento, non sarebbe dei più felici, perché i trend produttivi e della domanda che riguardano il sistema UE, cominciano a indicare maltempo. Proprio recentemente, l’indice della fiducia riguardante le aziende manifatturiere tedesche e gli ordinativi all’ingrosso che coprono una parte dei fattori della produzione, sono crollati. Certo, il problema è il ‘collo di bottiglia’ della domanda internazionale, che per Paesi ‘export-oriented’ come la Germania e l’Italia, il calo delle esportazioni aggrava la ‘stagflazione’ spingendo rapidamente verso la recessione.
“Nonostante la ‘viscosità’ dell’inflazione e gli ostacoli per farla scendere ancora più rapidamente, in ogni caso alzare ancora i tassi, in questa fase, potrebbe avere un effetto moltiplicatore negativo”.
BCE troppo “americana” (o tedesca)
Attualmente, i tassi applicati dalla Banca centrale europea variano dal 3,75% (depositi), al 4,25% (operazioni di rifinanziamento principali), fino al 4,50% (operazioni di rifinanziamento marginali). La Federal Reserve, invece, ha già portato i suoi tra il 5,25% e il 5,50%. Ma Powell ancora ha qualche ulteriore margine di stretta (visto il Pil degli Stati Uniti) che in Europa però non abbiamo. Secondo l’Economist, la Lagarde si è messa in testa di fare una guerra all’ultimo sangue contro l’inflazione. Bisognerà vedere, però, chi saranno le vittime. Sì, perché, scrive ‘the bible’, l’anno scorso ci siamo scansati recessione e disoccupazione, grazie ai generosi interventi statali. Sulla scia del Covid e della ripresa post-pandemica, le autorità centrali hanno ripreso a fare debiti e a spendere somme enormi per stabilizzare (artificialmente) l’economia.
Ora i debiti a scadenza
Ora, non solo la spesa pubblica si è dovuta fisiologicamente contenere, ma cominciano a venire a scadenza tutti i debiti, a volte allegramente sottoscritti. Così, i salvataggi di prima, oggi non sono più possibili e la guerra all’inflazione, se condotta senza criterio, potrebbe partorire turbolenze sociali e politiche difficilmente controllabili.
“A volte, la teoria economica sembra solo materia riservata a pochi intellettuali. Niente di più sbagliato: è la formula giusta, per capire se domani saremo in grado di mettere d’accordo il pranzo con la cena”.
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
1 Settembre 2023